CHARLES E MARIA: UN INCONTRO, FECONDITÀ A CARO PREZZO.

 

Se scorriamo gli scritti di Charles de Foucauld troviamo innanzitutto una grande stima del matrimonio proprio in ordine alla realizzazione del progetto di Dio di salvare tutti gli uomini:

“.. Lo stato del matrimonio non è un’espiazione, ma uno stato santo in cui si entra con un sacramento, in cui si può e si deve santificare sé e santificare gli altri . . . E quanto bene fa un santo sposato nel mondo, che penetra in tanti ambienti nei quali il sacerdote non entra e che vi penetra con una intimità raramente possibile al sacerdote . ..” (Opere Spirituali pag. 776).

E il suo discorso si concretizza spesso in un richiamo a una coppia neotestamentaria, quella di Priscilla ed Aquila che, al seguito di Paolo, si sono distinti nell’animazione della chiesa delle origini; anche qui a una coppia di credenti è riconosciuto di essere fonte di salvezza come nel libro di Tobia.

“Una delle cose più utili per la conversione degli infedeli è che si stabiliscano in queste colonie numerose famiglie veramente cristiane, le quali abbiano la volontà di svolgere, pur dedicandosi ai lavori quotidiani, l’ufficio di missionari, così come Priscilla ed Aquila, mentre fabbricavano tende, lavoravano insieme a San Paolo per la conversione dei pagani…” (idem pag. 502).

Ma poi scopriamo che Charles personalmente ha vissuto una esperienza particolare con una donna, sua cugina Marie de Bondy. Vediamo alcune notizie su di lei.

“Quale bene ho ricevuto che non mi sia venuto da voi?” così scriveva de Foucauld a sua cugina, M.me de Bondy. “Nostro Signore Gesù vi benedica, giacché per mezzo vostro mi ha dato tutto. . . I miei occhi non vedranno mai più i vostri . . . Ieri vi ho detto addio per sempre . . . ho perduto tutto quello che è possibile perdere . . .Oh! lungi da me la volontà di ringraziarvi per tutte le vostre bontà: ne sono incapace!”.

Chi era dunque questa donna, alla quale il p. de Foucauld scriveva con tanta commozione e tanta riconoscenza arrivando alla Trappa di Notre-Dame des Neiges? Maggiore di otto anni rispetto al cugino, Maria Moitessier, era nata il 19 agosto 1850 nel castello di Villiers, vicino a Parigi, ed era stata battezzata nella parrocchia di Saint-Ferdinand de Ternes. Suo padre, Sigisberto Moitessier, figlio maggiore di una modestissima famiglia della Lorena, era emigrato nel 1815 “per far fortuna in America”. Al suo ritorno aveva sposato Ines de Foucauld, più giovane di lui di ventidue anni, una cristiana autentica, dal carattere fortemente temprato, dallo sguardo intelligente e fiero, ricca e bella.

Tutto sorrideva alla fanciulla nella casa che la accoglieva. Suo padre aveva fondato da poco a Parigi una banca che trattava numerosi affari all’Avana; nel 1852 comprava il castello di Louye, nell’ Eure, ed un bei palazzo al n. 42 di rue d’Anjou a Parigi. In queste due dimore, che ama molto, Maria trascorrerà tutta la sua giovinezza. In questo ambiente cristiano la fortuna non rappresenta affatto il pretesto per una educazione carente. La fanciulla è affidala al parroco di Saint-Philippe du Roule, che mette nell’anima della sua piccola penitente i fondamenti della solida pietà che la distinguerà sempre. Il 7 maggio 1863 fa la prima comunione, e l’eucaristia resterà il centro della sua vita spirituale. Ogni manina assiste alla messa con la sua istitutrice, sig.na Caroline Kiener, una protestante convertita e divenuta cattolica fervente, e inoltre ha cura della chiesa e dei paramenti. Ma sua madre tiene anche allo studio, così Maria deve impegnarsi. Senza avere l’erudizione di sua sorella Caterina – che sarà più tardi contessa di Flavigny, e che conosceva tante lingue, fra cui il latino, il greco e l’ebraico – Maria studia l’inglese e il tedesco mentre la conoscenza dell’italiano le viene facilitata dai frequenti viaggi in Italia con la madre. Ma la fanciulla è soprattutto appassionata di musica, e ogni giorno dedica diverse ore al piano ed al canto.

E’ proprio in mezzo a questa esistenza felice ed attiva che Maria sperimenta per la prima volta le grandi sofferenze della vita: suo zio, il visconte Edouard de Foucauld, colpito dalla tubercolosi, dopo aver trascorso parecchi mesi di malattia presso la sorella M.me Moitessier, muore in un sanatorio il 9 agosto 1964. Nel mese di marzo dello stesso anno era morta anche sua moglie . . . Lasciano due bambini: Charles e Marie. Il nonno, colonnello de Morlet, veglia amorevolmente sui due orfani, ma la zia li invita a braccia aperte per le vacanze. Ed è a partire dal 1867 che ha inizio l’incontro, che diverrà sempre più profondo, fra Charles e Marie Moitessier.

Il ragazzo osserva in silenzio la cugina, e prova una crescente ammirazione nei suoi confronti. “Intelligenza, dolcezza, bontà”, sono le doti di cui egli scriverà senza posa. Ma già Marie esercita la sua influenza su di lui più con la vita che con la parola. A contatto con lei, Charles riceve un’impronta che resterà decisiva nonostante dieci anni di allontanamento dalla fede: a lei deve amore ardente per Gesù nell’eucaristia e amore del suo Sacro Cuore.

“La devozione al Sacro Cuore la debbo a voi, soltanto a voi, per grazia di Dio”.

Presso i Moitessier ha trovato una seconda famiglia, la calda atmosfera di affetto che lo circonda lo ha fatto rinascere. Dopo la conversione, egli considera Marie come sua “madre”. La lunga corrispondenza avviata verso il 1889 fra i due cugini farà spesso riferimento a questa parentela spirituale: “I Berrichons non avevano torto, e mi hanno fatto piacere più di quanto non pensassero dicendo che sono vostro figlio” (settembre 1889). “La vostra materna bontà non è cominciata oggi” (aprile 1897).

La guerra del 1870 li separerà. Il signor Moitessier, trattenuto a Parigi dai suoi affari, sarà bloccato durante l’occupazione della capitale, mentre la moglie e la figlia resteranno a Touraine, dove l’inizio delle ostilità le ha sorprese presso la contessa di Flavigny. M.me Moitessier e le due figlie si stabiliscono a Tours, e decidono di prestare servizio all’ospedale. Troppo giovane per curare i feriti. Marie viene posta a capo dei rifornimenti e dell’infermeria, e sa disimpegnarsi con tale competenza ed intelligenza da ricevere i più alti elogi dai medici che l’hanno vista all’opera.

In questo periodo Charles de Foucauld ha seguito il nonno, in fuga da Strasburgo a Rennes, quindi in Svizzera, e infine a Nancy. E’ qui che Marie lo ritrova nel 1872, per assistere alla sua prima comunione. Gli fa dono delle “Elevations sur les mystères” di Bossuet, che il ragazzo conserverà gelosamente come ricordo della cugina. Più tardi dirà: “E’ il primo libro cristiano che ho letto prima della mia conversione, quello che mi ha fatto intravedere che forse la religione cristiana era vera” (25 aprile 1987).Ma per il momento si trova in piena crisi morale. La sua famiglia, alla quale è “appassionatamente attaccato”, sembra l’unico fragile legame che tiene ancora in vita le sue convinzioni religiose; ma a poco a poco rompe con la fede della sua infanzia e affonda nel vizio.

La strada di Charles de Foucauld e quella di sua cugina cominciano dunque a divergere?

Per la giovane donna, sposatasi l’11 aprile 1874, è un periodo di completa felicità. Suo marito, il visconte Oliviero de Bondy, ha un magnifico carattere ed è ben voluto da tutti per la sua bontà. Il suo ottimo comportamento nei reparti mobili della Seine et Marne gli è valsa la Legion d’Onore. Spesso, al principio dell’estate, la giovane coppia va per tre settimane o per un mese a godersi il mare e … la solitudine a due. Ma durante l’anno la vita si svolge fra rue d’Anjou, Louye e il castello de La Barre, nell’Indre. Dal 1875 al 1883 si susseguono le nascite: Francesco, Roberto, Giovanni e Maddalena vengono ad accrescere la gioia della famiglia.

E Charles de Foucauld?

Durante tutto questo periodo, la cugina non lo ha mai abbandonato. Egli soggiorna di frequente presso M.me Moitessier, ma le sue scappatelle a Saumur, le spese folli e l’intenzione di dimettersi dall’esercito gli valgono energiche rimostranze da parte della zia. Il giovane ufficiale si irrita e s’impunta. Allora interviene M.me de Bondy. Il suo carattere è forte come quello della madre, ma ella sa dire con tatto squisito le parole che toccano il cuore del cugino. “Mi avete scritto una lettera che mi ha fatto bene, mi ha commosso anche se ho un’età in cui è difficile commuoversi, ed ha contribuito più di ogni altra cosa a farmi andare nuovamente, d’accordo con mia zia”, (settembre 1889).

L’azione di M.me de Bondy sarà decisiva soprattutto a partire dal 1884. Charles ritorna sfinito dalla sua audace spedizione in Marocco, e M.me Moitessier lo accoglie con bontà, non più a Louye, che era stato venduto l’anno precedente, ma al Tuquet, piccola proprietà coltivata a vigneto nei pressi di Bordeaux. C’è anche sua figlia, che comprende con ammirevole delicatezza il bisogno di silenzio del cugino, vive davanti a lui la propria fede e lo circonda di una benevolenza che lo tocca profondamente. In questa “solitudine, in mezzo a coloro che più si amano al mondo”, Charles dice di essere “perfettamente felice”. A contatto con i suoi, ritrova il gusto della rettitudine morale. “Mi sono ripreso vedendo e rispettando il bene che avevo dimenticato da dieci anni”. Uno alla volta i cattivi legami di Algeri si dissolvono. In quello stesso periodo, M.me de Bondy riceve la confidenza di un progetto di matrimonio; con la sicurezza di vedute e la decisione che le sono abituali, dissuade il cugino: “Avevo bisogno di essere salvato da questo matrimonio, e voi mi avete salvato”.

Il Signore che ha scelto Marie come “primo strumento della sua misericordia” nei confronti di Charles de Foucauld, tornerà a riavvicinarli. Dal 1886 i de Bondy si stabiliscono a Parigi già nel mese di ottobre, per assicurare l’educazione dei loro figli: Francesco è appena entrato nel collegio Stanislas. Nello stesso anno Charles ha affittato un appartamento vicino ai suoi cugini, ed è possibile seguire, sia attraverso il suo diario spirituale sia attraverso le quasi ottocento lettere che scriverà alla cugina, l’influenza determinante di M.me de Bondy sull’orientamento della sua vita. “La castità divenne per me una dolcezza ed un bisogno del cuore”. E’ attratto verso la virtù “dalla bellezza di un’anima la cui virtù mi era apparsa tanto bella da rapire irrevocabilmente il mio cuore”. I suoi dubbi contro la fede vengono infranti: “poiché l’anima è cosi intelligente, la religione in cui crede non può essere, come io penso, una follia”. Una volta di più, è il silenzio che ha lasciato libero il passaggio alla grazia. “Una bella anima vi assecondava, mio Dio, ma lo faceva col suo silenzio, la sua dolcezza, la sua bontà, la sua perfezione: si lasciava vedere, era buona e spandeva il suo profumo allettante, ma non agiva”. Attraverso il silenzio, Charles de Foucauld ha sentilo la parola di Dio: Mi avete “ricondotto a Gesù, mi avete insegnato a poco a poco, quasi parola per parola, tutto ciò che è buono e pio”, scrive alla cugina il 15 aprile 1901. Senza volerlo, M.me de Bondy concepiva l’apostolato come p. Huvelin, suo direttore spirituale. “Quando si vuole convertire un’anima, egli diceva, non bisogna farle la predica; il mezzo migliore non consiste nel farle dei sermoni, ma nel dimostrarle che la si ama”.

Da dieci anni, M.me de Bondy si era affidata alla guida di questo ottimo sacerdote. Avvicinatasi per caso al suo confessionale, a Sant’Agostino, poco prima della nascita di Roberto, aveva subito intuito il suo valore umano e soprannaturale, e si era affidala a lui.

Anche Charles de Foucauld, nel momento decisivo in cui ripete incessantemente la sua preghiera “Mio Dio, se esistete, fate che vi conosca!” si affida al direttore della cugina.

Grazia incomparabile di conversione, grazia di immediata risposta alla chiamata del Signore: M.me de Bondy è ancora presente, come una luce discreta e sicura, per rischiarare la strada al cugino. E’ lei che durante un soggiorno del convertito a La Barre, nel 1888, suggerisce una visita alla poverissima trappa di Fontgombault; è ancora lei a placare le ultime inquietudini di Charles, consigliandogli un ritiro a Clamart. Presso di lei egli visse le sue ultime gioie familiari e la sua ultima giornata prima di partire per Notre-Dame des Neiges. E quando la lascia, dopo aver ricevuto la sua benedizione la sera del 15 gennaio 1890, è uno strazio di cui solo Dio conosce la portata. “Sacrificio che mi è costato tutte le mie lacrime”, le scriverà alcuni giorni dopo.

Nella mente di Charles la separazione è definitiva, ma Dio non spezza i legami che Egli stesso ha voluto. M.me de Bondy conserverà l’abitudine di scrivere ogni settimana al cugino, e le lettere di quest’ultimo mostreranno che la grazia non fa che approfondire l’intimità dei cuori che cercano solo Gesù. Tre volte – nel 1909, nel 1911 e nel 1913 – Charles divenuto “padre” per il suo sacerdozio avrà la gioia di ricevere a Parigi colei che egli chiama “sua madre”, prima che la guerra li allontani per sempre l’uno dall’altra su questa terra. Durante tutto questo periodo, M.me de Bondy continua a condurre la sua vita esemplare di donna cristiana.

Giudica suo primo dovere l’educazione dei figli, e li porta al catechismo, li istruisce lei stessa nelle verità della fede. Il compito grava molto sulle sue spalle, essendo ormai sola ad assumersene la responsabilità. Suo marito è morto il 19 febbraio 1895, e mai ella si consolerà di questo dolore. Due anni dopo muore M.me Moitessier, che era stata preceduta dal marito nel 1889. Intorno a M.me de Bondy si scava il vuoto. Eredita l’immobile di rue d’Anjou, ma trovandolo troppo grande decide, insieme alla sorella, di non tenerlo.

La contessa di Flavigny si stabilisce a rue de la Chaise, e M.me de Bondy prende un appartamento al n. 10 di avenue Percier. Il grande palazzo viene venduto alla Société, che più tardi ne utilizzerà l’area per costruire un nuovo fabbricato.

Passano gli anni, e i figli crescono, nel 1898 Francesco ha già lasciato la casa da parecchio tempo. Roberto è entrato nei Dragons de Provins alla fine del 1896; rimangono Maddalena e Giovanni. M.me de Bondy va a messa ogni mattina con la figlia, e due volte la settimana fa il catechismo a Saint-Ouen. Ma nel 1906 Maddalena sposa il conte de Forbin, e nel 1910 Roberto si unisce in matrimonio con M.lle de la Grange: la casa si vuota … In quello stesso anno M.me de Bondy deve affrontare una dura prova: Dio chiama a sé, dopo lunga malattia, il p. Huvelin, che per tanto tempo l’aveva sostenuta e consolata. E’ un grande sacrificio tanto per lei quanto per il padre de Foucauld, il quale aveva potuto vedere per l’ultima volta il santo sacerdote l’anno precedente.

Arrivano gli anni tragici della guerra 1914-1918. Ancor prima dell’inizio delle ostilità, due lutti uno dopo l’altro colpiscono profondamente M.me de Bondy: nel mese di marzo, dopo un anno e mezzo di malattia, muore il figlio Roberto, che lascia due bambini. In giugno è la contessa de Flavigny a concludere il suo calvario, durato trentacinque anni. Alle prime avvisaglie di guerra, M-me de Bondy accorre a Digione per abbracciare il figlio che parte per prestare il servizio militare nell’aviazione che è ancora ai suoi primi albori.

La madre tremerà per lui per tutta la durata del conflitto. Il suo desiderio sarebbe di restare a Parigi, dove si possono attingere notizie sicure, ma sente che il dovere la trattiene anche a La Barre, dove i contadini hanno conservalo l’abitudine di venire al castello per essere confortati e curati, essendo i medici assai lontani.

Nel 1916 Charles de Foucauld avverte la cugina di trovarsi in pericolo. Messa sull’avviso, ella comprende immediatamente il dramma di Tamanrasset allorché sua figlia le annuncia che M.me de Blic ha ricevuto notizie preoccupanti da suo fratello, che di fatto viene accidentalmente ucciso davanti al suo fortino a Tamanrasset in quell’anno.. E’ un colpo terribile per la donna, perché l’intimità fra queste due anime, in quarantasette anni, non ha fatto che accrescersi. M.me de Bondy non ha mai accettato che si alludesse al ruolo provvidenziale da lei avuto nella conversione del cugino, ma sa bene di essere la madre, secondo la grazia, dell’eremita del Sahara. E forse fin dai loro primi incontri il p. de Foucauld aveva intuito, nel vigore delle convinzioni della cugina, nella forte e dolce intransigenza del suo amore verso Dio, un cuore attratto dall’assoluto come lo era il suo, e attraverso il quale un giorno gli sarebbe stata comunicata la vita. “Se mi sarà dato di rivedervi ai piedi dello Sposo, che posso fare se non sciogliermi in commozione, felicità e. riconoscenza, e dirvi che mi avete condotto in cielo?” (12 gennaio 1981).

A M.me de Bondy resteranno ancora diciotto anni da vivere su questa terra, prima del felice incontro. Il figlio Giovanni le viene restituito miracolosamente illeso alla fine della guerra. Nel 1919 si sposa con M.lle de Rochebouet e si stabilisce nel castello di Romefort, vicinissimo a La Barre, dove M.me de Bondy vive ormai sola, tranne durante le vacanze, in cui arrivano il conte e la contessa de Forbin con i loro Ire figli. Anche a Parigi, dove si è stabilita durante la guerra, la nonna ospita i figli ed i nipoti. Ogni anno, infine, trascorre un periodo presso la figlia, a Issarts.

Ma verso la fine della sua vita rinuncia a Parigi e si ritira definitivamente – così almeno crede – a La Barre. Qui gode della presenza silenziosa e costante di Gesù nel tabernacolo, e, se non può più, come una volta, ricamare per il suo Padrone paramenti, continua a vestirlo nella persona dei suoi missionari e dei poveri, ai quali dona maglie lavorate all’uncinetto.

Nel 1933, gravi sintomi nel suo stato di salute allarmano i figli. Piccoli c frequenti attacchi sono i preoccupanti presagi di una fine forse prossima. E’ dunque arrivata la ricompensa per questa vita così intensa? Sembra che Dio abbia voluto concedere prima del tempo a questa magnifica cristiana la grazia di un attacco totale, proprio come il padre de Foucauld avrebbe desideralo per lei. “Ne. avrete (spine), non più di quante io ne domandi a Dio per voi. . . ma più di quante ne avrebbe desiderate un affetto troppo poco saggio …” (19 gennaio 1890).

Il 15 agosto, nel riempire la lampada della cappella, la domestica di M.me de Bondy appicca il fuoco al castello della Barre, che viene completamente invaso dalle fiamme. Si salveranno a malapena i due saloni e le preziose lettere di Charles de Foucauld alla cugina. In venti minuti tutto è perduto, i ricordi di tanti anni sono annientati …

Il sacrificio è totale. In questa spogliazione assoluta, M.me de Bondy conclude la sua vita. I figli le hanno trovato un piccolo appartamento ammobiliato vicino alla chiesa di Sant’Agostino, dove ella è andata spesso a pregare.

Il 15 marzo 1934 una caduta le provoca una congestione, e il 19 marzo ritorna serenamente a Dio (ed è la festa di San Giuseppe, patrono dei morenti!), sostenuta dalla preghiera silenziosa che l’ha accompagnata per tutta la vita. “Siate benedetta, mia cara cugina; Nostro Signore vi custodisca in tutti i momenti della vostra vita, e nell’ultima ora . . . Possa quell’ora riunirci ai suoi piedi! Sia benedetto Nostro Signore!” (12 gennaio 1891).

* * *

Non è sempre nel matrimonio che si realizza un rapporto profondo tra uomo e donna: vi è un incontro di persone che fa sì che ognuno sappia far crescere nell’altro colui/colei che sa dare la vita, non in senso fisico, non in senso oblativo soltanto, ma nel più profondo alimentare le fonti della “vita”. Questo ha fatto Marie per Charles, questo Charles per Marie. Cogliamo ancora qualcosa dalle lettere.

All’inizio è Marie che suscita in lui la sete dell’assoluto, dell’essenziale, del vero senso della vita e lui a lei continua a confidarsi, ormai partito, pur soffrendone la lontananza: “Erano ieri diciotto mesi da quando vi ho detto addio: mi pare sia passato così poco tempo e insieme così tanto: a forza d’aggiungersi l’uno agli altri, i mesi porteranno un giorno l’ultimo . … Si compia la volontà di Nostro Signore; io preferirei andare molto presto da Lui, ma non c’è nulla che me lo faccia sperare …. ch’Egli tragga dalle nostre vite, lunghe o brevi, il maggior conforto possibile per il suo Cuore, è tutto ciò di cui abbisognamo noi due. Noi ci abbandoniamo e non vogliamo vivere altro che per Lui…” (idem pag. 704-705).

“A proposito delle distrazioni voi non credereste mai quante ne abbia io! Eppure sono veramente solitario; tra la chiesa e la legnaia dove lavoro da solo, non c’è nulla che mi turbi: è dall’interno che vengono le più inattese e le più ridicole distrazioni. .. lo vi racconto le mie miserie, questa non è la sola, ahimè!, ma ci sono spesso pensieri contro la carità, che vengono. E’ uno degli scogli della nostra vita: si guarda la pagliuzza dei fratelli e non si vede la propria trave”. (idem pag. 706)

In seguito i loro cammini mostrano una intesa crescente, un coinvolgimento reciproco che non viene meno nonostante non si vedano. E’ soprattutto la presenza nel Sahara di Charles che entra nella vita di Marie per le cose che lui le chiede, ma ancor più per il suo insistente “pregate …”. Poi è un radicarsi negli stessi insegnamenti, “La via regale della Croce: è la sola per gli eletti, la sola per la Chiesa, la sola per qualsiasi fedele; è la legge sino alla fine del mondo: la Chiesa e le anime, spose dello sposo crocifisso, dovranno condividere le sue spine e portare la croce insieme a Lui. La legge dell’amore vuole che la sposa condivida la sorte dello Sposo” (idem pag. 720).

“II Buon Dio vi sosterrà e vi consolerà coi sacramenti dopo avervi sostenuta senza di essi. Lui solo è necessario. Egli sa quel che ci abbisogna e ce lo concede nell’ora che vuole . . . talora consola per impedire lo scoraggiamento, talora lascia sentire lo scompiglio dell’anima per produrre l’umiltà, che è la verità …” (idem pag. 720 ss.). Si ritrovano nelle stesse esperienze: “Capisco tanto la dolcezza che voi trovate nella calma e nella solitudine: non è solo il contrasto col triste mese di quest’autunno, né l’’effetto dell’età: questa dolcezza della solitudine, io l’ho provata in qualsiasi età …” (idem pag. 725).

“. . . Io sto bene, ma invecchio molto: capisco tanto bene, dalla mia stessa esperienza, quel che mi dite sulla difficoltà che provate nel fare le cose.” (idem pag. 731).

Alla fine Charles assume spiritualmente le preoccupazioni concrete della vita di lei, (e, con esse sul cuore, muore, se guardiamo alle date).

1° dicembre 1916

Grazie, mia carissima madre, per le vostre lettere del 15, 20 e 26 ottobre, arrivate, questa mattina insieme, alla scatola di cacao: continuate a viziare il vostro vecchio figliolo!

Spero che quando vi giungerà la presente – molto prima del 1° gennaio – Maddalena e Giovanni stiano bene in salute, e che voi non stiate troppo male. Dovete certo sentire il peso degli anni: per voi, da tanto tempo, essi contano più del doppio a causa delle prove.

Dovete certo sentirvi schiacciata dopo le angosce di questi due anni e mezzo di guerra e di preoccupazioni per la Francia e per Giovanni! . . .Le preoccupazioni, le sofferenze, antiche e recenti, accettate con rassegnazione, offerte a Dio in unione alle intenzioni dei dolori di Gesù, rappresentano non soltanto la sola cosa, ma la più preziosa che il buon Dio vi offre affinché possiate arrivare dinanzi a Lui con le mani piene. Voi, certo, pensate di avere le mani vuote e io ne sono contento; ma ho la ferma speranza che il buon Dio non sarà del vostro avviso. Vi ha reso troppo partecipe del suo calice quaggiù, e voi l’avete bevuto fedelmente perché Egli non vi faccia largamente partecipe anche della sua gloria in cielo. Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù e per fare del bene alle anime: è quanto san Giovanni della Croce ripete continuamente. Quando si può soffrire ed amare si può molto, si può tutto ciò che è possibile a questo mondo: si sente che si soffre, ma non si sente sempre che si ama, ed è un’altra grande sofferenza! Ma si sa che si vorrebbe amare, e voler amare significa amare. Ci si accorge di non amare abbastanza ed è vero, perché non si amerà mai abbastanza; ma il buon Dio sa di che pasta siamo, e poiché ci ama più di quanto una madre possa amare suo figlio, ci ha. detto, Lui che non mente, che non respingerà chi viene a Lui.

. .. Notate quanto penso a voi, a Maddalena, a Giovanni (senza dimenticare Francesco), e quanto sono vicino a voi, agli Issarts, pur essendo lontano. So quanto costa la privazione della Messa: sarà per voi un merito di più, e penserò ancor più a voi celebrando la mia.

Ricordatemi a Maddalena ed ai suoi figli. Sapete che il vostro vecchio figliolo vi è devoto con tutto il cuore nel Cuore di Gesù.. .”

Quando dopo anni e anni si erano incontrati di nuovo, era stato un incontro semplice e indicibile. L’esistenza che li aveva provati non aveva alterato quell’ineffabile scambio che c’era tra loro, non aveva mutato, ma solo addolcito, reso più maturo il sentimento al quale non avevano potuto dare un nome. Possiamo riconoscere che tra loro sempre vivo è restato quel legame che si è consumato nel sacrificio ai piedi della croce trasfigurandosi in fecondità nelle vie della salvezza: senza Marie, sarebbe stato come è stato Charles? e quelli che si sono posti al suo seguito?

Giuliana Babini cf Jesus Caritas 1988