A volte la riflessione intorno a dei personaggi minori della storia della salvezza diviene apertura sul mistero che essa custodisce.
Chi è Gionata? Un figlio di re, che finisce male, travolto dalla rovina del padre: forse a livello storico tutto qui, uno sconfitto, ma se cerchiamo di penetrare nella sua vicenda interiore scopriamo una profondità inaudita per un guerriero.
È anche vero che spesso nella Sacra Scrittura i campioni militari hanno una ambiguità tutta da approfondire: Joab, Abner, Amasà, solo per citare i grandi che attorniano David, uccidono e vengono uccisi (la violenza chiama la violenza, e David spesso ritiene che questo non lo si debba smentire, cf 1 Re 2,5-6), ma essi non mancano di lealtà, e soprattutto di “conoscenza” del loro capo. Joab, soprattutto, impedisce più di una volta a David di dimenticare di essere «il Re» e quindi gli ricorda di non potersi permettere di ripiegarsi nel privato: per questo non manca di ironia nel comunicargli la morte di Uria, marito della bella Betsabea (2 Sam 11,18ss); per questo non manca di forza quando scuote David dal lutto per la morte di Assalonne (2 Sam 19,6-8). Joab serve in David il Re, il ruolo, la dignità, forse dell’uomo ha un po’ di disistima, perché in fondo lui, Joab, riesce quasi sempre, in un modo o nell’altro, ad imporsi e, se la sua obiezione, quando David vuol strafare a riguardo del censimento, cade nel vuoto, è perché ormai è giunto il tempo del suo decadere.
Questo è il mondo che lo circonda, eppure Gionata si distingue totalmente da questi e dagli altri figli di Re, è fuori dalla loro ansia di potere e dai loro intrighi, anzi trama, si può dire, contro se stesso.
Di fronte a David, vincitore del Filisteo, non prova invidia, voglia di emulazione, ma «L’anima di Gionata si era già talmente legata all’anima di David che Gionata l’amò come se stesso… Gionata strinse con David un patto perché lo amava come se stesso. Gionata si tolse il mantello che indossava e lo diede a David e vi aggiunse i suoi abiti, la sua spada, il suo arco e la cintura» (1 Sam 18,1.3-4).
Gionata dà il mantello a David e con questo gesto, per tutta l’importanza che ha il mantello nel contesto biblico, è come se gli cedesse le sue prerogative: il gesto amicale, spontaneo, già annuncia quanto poi avverrà.
Anche Esaù aveva ceduto, senza rendersene bene conto, la primogenitura a Giacobbe che, con l’inganno, se la fa ratificare dal padre Isacco, ma questo sarà motivo di lungo contrasto fra fratelli e fra i popoli ad essi legati. Qui David e Gionata non sono fratelli, anzi dovrebbero essere rivali – tutto spiegherebbe invidia, malvolere, odio da parte di Gionata -, e invece nasce un accordo senza nubi, se non la gelosia di Saul.
Gionata sta subito dalla parte di David, è uno che intuisce il mistero dell’altro, il mistero della scelta del Signore e li rispetta anche quando Saul gli fa presente che è per la sua rovina:
«… tu prendi le parti del Figlio di Jesse a tua vergogna e a vergogna di tua madre. Perché fino a quando vivrà il figlio di Jesse sulla terra non avrai sicurezza né tu né il tuo regno » (1Sam 20,30-31).
Certo la monarchia non era già chiaramente ereditaria da assicurare a Gionata la successione senza conquistarsi il popolo, i campioni militari, ma neppure era ovvio che un figlio valoroso – non abbiamo motivo per ritenere l’opposto, anzi valorosa è l’impresa con lo scudiero contro i Filistei (1 Sam 14) – ci rinunciasse così.
E Gionata invece intercede presso Saul a favore di David: una prima volta con successo, ricordando al padre i meriti dell’amico e la sua innocenza (1 Sam 19,4s); una seconda, quando capisce che per David non c’è scampo, ne favorisce la fuga, chiedendo in cambio solo benevolenza per la propria discendenza (1 Sam 20,16). Gionata dice a David: «Vieni, andiamo in campagna», proprio la stessa espressione usata da Caino nel suo progetto di far fuori il fratello Abele (Gn 4,8s), ma non solo non lo danneggia, anzi gli garantisce la salvezza nel più completo riconoscimento e disinteresse.
David davanti a Gionata, fedele all’amico fino a questo punto, «cadde con la faccia a terra e si prostrò tre volte… poi si baciarono e piansero l’uno insieme all’altro» (1 Sam 20,41). All’amico costretto a diventare nemico, Gionata dice: «Va’ in pace… il Signore sia con me e con te…» (ivi, v. 42), ed è come riconoscesse che il Signore è presente nelle loro strade diverse: David segue la sua strada di fuggiasco, errante nel deserto; Gionata torna al suo ruolo di figlio di re, in città.
E’ splendido questo rispetto reciproco, questo riconoscimento che l’uno fa del cammino dell’altro: nessuna confusione, nessuna simbiosi, nessun compromesso, nessun coinvolgimento irrealistico, nessuna fuga astorica, ma, potremmo dire, rispetto assoluto dell’alterità, sobrietà di relazione, timore e tremore del disegno di Dio su ognuno; una amicizia così è sancita per sempre, al di là della morte.
Dicono i rabbini (Pirqé Avot1) che l’amore che non dipende da una cosa, non viene mai meno e fanno proprio l’esempio dell’amore di David e Gionata, perché il loro amore non era altro che a causa del Cielo.
David è Re non nonostante Gionata suo naturale rivale, ma grazie a Gionata suo amico.
A Gionata non è bastato salvare l’amico David, ma lo raggiunge ancora, quando può, nel deserto per fargli coraggio, «Gionata, figlio di Saul – è ribadito! come dire, proprio lui, figlio di Saul – si alzò e andò da David a Corsa e ne rinvigorì il coraggio in Dio. Poi gli disse: «Non temere… tu regnerai su Israele, mentre io sarò a te secondo» (1 Sam 23,16-17).
Gionata ha una chiarezza acuta del suo ruolo, di quello di David, accetta la propria e l’altrui vocazione con una longanimità davvero luminosa ed è forse la sua chiarezza che aiuta David a rispettare l’Unto nel padre dell’amico, in Saul a lui così ostile. Gionata aiuta David così come Abigail lo aiuta a non vendicarsi del marito Nabal, a non farsi giustizia con la propria mano, a lasciare che i disegni di Dio si compiano per la sua opera.
Se la persona di David è così umana è perché si rivela tessuta di relazioni in cui non solo dà, ma riceve, vibra, cambia.
Gionata resta uno che ha lo sguardo perforante, uno che passa lasciando solo tracce di luce, del quale si sa dire poco. Dopo che ha incoraggiato David, non si dice più nulla di lui se non che muore: è un consegnato ai piani del Signore, piani che ha letto senza bisogno di profeti; muore e resta perché celebrato da David non solo per il suo eroismo (2 Sam 1,22), ma anche per la sua lealtà verso il padre 2 «Saul e Gionata…né in vita né in morte furono divisi» (ivi, v. 23 – non sarà così dei figli di David: Assalonne, Adonia!-): celebrato da David per la loro amicizia indissolubile, “fratello mio Gionata! Tu mi eri molto caro; la tua amicizia era per me preziosa più che amore di donna» (ivi, v. 25).
David, l’amato3 , ci mostra l’importanza del riconoscimento dell’alterità in più di una relazione, non solo nell’amicizia con Gionata, nel rapporto con i suoi capi militari, ma anche nel rapporto d’amore con le sue donne, così diverse, così poco anonime: Micol, con la quale il rapporto si rompe quando viene meno il riconoscimento da parte di lei della fede del marito più forte della dignità regale; Abigail, il cui amore sboccia nel riconoscimento della vocazione di David fatto con una intuizione tutta femminile nel momento e nel modo più adatto; Betsabea, che lo richiama al dovere di Re di annunziare il suo erede per morire nella pace; la stessa rispettala Abisag.
Ma solo Gionata lo riconosce «gratuitamente» Re, anzi pagando a proprie spese, col proprio scomparire… davvero un legame più prezioso dell’amore di donna!
Questo rapporto tra Gionata e David non può non rimandare ad altre due figure, legate e pienamente distinte, testimoni l’uno dell’altro della loro alterità e della loro reciprocità:
Giovanni il Battista di stirpe sacerdotale e Gesù della casa di David4.
Tra i due c’è una parentela prima, un discepolato poi5, più che una amicizia storicamente descritta che può esserci stata, soprattutto prima della partenza per il deserto del Battista, ma di cui nulla sappiamo.
Il «non lo conoscevo» del Battista nel Vangelo di Giovanni (1,31.33)6, non si riferisce al Gesù-cugino, ma al Gesù come Messia, infatti, se ci rifacciamo al Vangelo di Giovanni e ascoltiamo la testimonianza del Battista: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo… Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui. Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire». (Gv 3,27-30), come non sentire in queste parole il riconoscimento pieno della vocazione di uno prima visto come semplice parente, amico, discepolo e poi scoperto come il Cristo del Padre?
Giovanni rende testimonianza a Gesù, riconoscendolo come «il più forte, come unico Sposo7» e poi dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui… E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,32.34).
Ma anche Gesù rende testimonianza a Giovanni: «… Giovanni ha reso testimonianza alla verità… Egli era una lampada che arde e risplende…» (Gv 5,33.35): «Che cosa siete andati a vedere nel deserto?… Un profeta? Si, vi dico, più che un profeta…» (Mt 11,7-9s; cf Lc 7,24ss).
Entrambi accolgono il mistero di Dio che li unisce e li separa nello stesso tempo.
Giovanni il Battista, come Gionata, deve cedere il passo: forse noi intuiamo soltanto con quanta credibilità Giovanni poteva farsi passare come il messia, oggettivamente ne aveva più titoli di Gesù, proprio come Gionata rispetto a David, eppure anche Giovanni diminuisce, scompare, muore, certamente senza capire molto8, ma fidandosi che il compimento è un Altro e che nell’Altro Dio porterà a termine quanto ha cominciato, «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Mc 1,11 e Mt 3,17 e Lc 3,12).
Legami così, che uniscono e separano, che rincuorano e sostengono nel rispetto totale dell’alterità non solo della persona, ma del cammino a cui essa è chiamata, non sono senza attinenza alla vita matrimoniale, non sono, soprattutto, senza attinenza alla vita consacrata in quanto cammino comunitario e fraterno9.
Giuliana Babini da Jesus Caritas 57/1995
1Detti dei rabbini, Qiqajon 1993. p. 175.
2Davvero eroica questa lealtà, più ancora delle imprese militari, perche già alla prima vittoria di Gionata, Saul si era appropriato di essa (1 Sam 13,3-4 «Gionata sconfìsse… ma corse la voce: – Saul ha battuto»), mentre il figlio gli resta accanto anche quando Samuele lascia Saul (1 Sam 13.15.1S), anche quando solo il popolo lo salva dal rigore paterno per la violazione di un insensato ordine del padre – re (1 Sam 14,44ss).
3Questo significa il nome di David, mentre quello di Gionata rimanda alla radice ebraica di «dare»: il nome è già un annuncio, una promessa, già dice quello che sarà.
4Anche i loro nomi anticipano il loro compito; Giovanni “il Signore ha mostrato grazia”; Gesù, “salvatore” e quest’ultimo è come il compimento dell’altro.
5Cf Mc 1,7 – dove il Battista usa per Gesù l’espressione «dietro» di me- è la stessa che esprime la sequela degli apostoli dietro Gesù.
6Cf tutti i tre sinottici: il Battista poteva pensare a una potenza di dominio e giudizio, mentre la vera opera divina e non umana era mettersi dalla parte dei peccatori e visitare la profondità degli abissi, cosa che di fatto il battesimo significava. La testimonianza va oltre la comprensione del testimone.
7A questo probabilmente allude l’espressione «non son degno di sciogliergli le cinghie dei sandali «che troviamo in Mc/Lc/Gv, in quanto era i! gesto con cui un parente subentrava ad un altro nel diritto di sposare una vedova. Solo in Mt si ha una espressione chiaramente servile «portare i sandali»: e quindi un ribadire del Battista di non essere lui l’atteso.
8II Battista era ritenuto profeta, era stimato, era di stirpe sacerdote, veniva dal deserto, tutti elementi per cui poteva connotarsi come Messia, specie dal momento che il popolo lo seguiva, invece attende e poi dal carcere manda a chiedere a Gesù: «Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?» (Lc 7,19) e dalla domanda traspare la sua fatica interiore che neppure l’esperienza del Battesimo di Gesù ha dissipato e che la prossimità con la morte esaspera: Gesù proprio in questa circostanza, attesta la grandezza del Battista «più che un profeta».
9Troviamo attinente non tanto all’’amicizia, quanto alla qualità dell’amicizia e all’applicazione di quanto detto ad ogni relazione di valore che deve insieme avvicinare e distinguere, la seguente pagina di D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa, ed. Paoline 1988, p. 69-70, tanto più incisiva, se si ricorda che veniva scritta nel 1943:
«Se non abbiamo il coraggio di ristabilire un autentico senso della distanza tra gli uomini, e di lottare personalmente per questo, affonderemo nell’anarchia dei valori umani. L’impudenza, la cui essenza consiste nel disprezzo di ogni distanza umana, è una caratteristica del volgo, così come l’intima insicurezza, il mercanteggiare con l’impudente, il corteggiarlo per guadagnarsene il favore e il mettersi al livello del volgo sono la strada per involgarire se stessi. Quando uno non sa più ciò cui è tenuto, davanti a se stesso, e agli altri, quando viene meno il senso per la qualità dell’uomo e la forza di mantenere le distanze, allora si è a un passo dal caos. Chi per amore della tranquillità materiale è troppo tollerante con la sfacciataggine. Costui ha già rinnegato se stesso e lascia che la marea del caos rompa gli argini proprio lì dove era il suo posto di guardia, e diventa così colpevole nei confronti di tutti. In altri tempi può esser stato compito del cristianesimo rendere testimonianza all’eguaglianza degli uomini; ma oggi proprio il cristianesimo dovrà impegnarsi appassionatamente per il rispetto delle distanze tra gli uomini e della qualità umana. Si dovrà accettare, risolutamente anche che questo possa essere frainteso e interpretato come difesa dei propri interessi, e così pure la facile accusa di nutrire sentimenti ti asociali- Queste sono le accuse che il volgo rivolge sempre all’ordine. Chi tentenna ed è incerto su questo punto, non si rende conto di quale sia la posta in gioco; anzi, nei suoi confronti quelle accuse probabilmente sono giustificate. Noi ci troviamo al centro di un processo di involgarimento che interessa tutti gli strali sociali; e nello stesso tempo ci troviamo di fronte alla nascita di un nuovo stile di nobiltà che coinvolge uomini provenienti da tutti gli strati sociali attualmente esistenti. La nobiltà nasce e si mantiene attraverso i! sacrificio, il coraggio e la chiara cognizione di ciò cui uno è tenuto nei confronti di se e degli altri; esigendo con naturalezza il rispetto dovuto a se stessi e con altrettanta naturalezza portandolo agli altri, sia in alto che in basso. Si tratta di riscoprire su tutta la linea esperienze di qualità ormai sepolte, si tratta di un ordine fondato sulla qualità. La qualità è il nemico più potente di qualsiasi massificazione. Dal punto di vista sociale questo significa rinunciare alla ricerca delle posizioni preminenti, rompere col divismo, guardare libera-mente in alto e in basso, specialmente per quanto riguarda la scelta della cerchia intima degli amici, significa saper gioire dì una vita nascosta ed avere il coraggio di una vita pubblica. Sul piano culturale l’esperienza della qualità significa tornare dal giornale e dalla radio al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura. Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda».