icona di S.Radelli
Nel mare i pesci, Pietro, gli uomini: nella fede stupore di vita.
“Navigare in cattive acque” è un modo di dire per indicare la difficoltà dei vivere umano in certe situazioni estreme. In fondo rende bene anche il nostro vissuto di oggi, nel momento in cui i simboli stessi della capacità dell’uomo, del progresso, del mondo moderno diventano insicuri come la superficie del mare.
Il contesto della vita umana sono “le grandi acque” o “i fiumi in piena”, ci dicono i salmi, con quella connotazione che nel linguaggio biblico hanno queste realtà, cioè quella di essere figure del male, del negativo, del pericolo, del nemico, di quella situazione di debolezza e di peccato da cui l’uomo non sa tirarsi fiori da solo, può uscirne soltanto invocando l’aiuto di un Altro più potente di lui: alzano i fiumi i/loro fragore. Ma più potente delle voci di grandi acque, più potente dei flutti del mare, potente nell ‘alto è il Signore” (Sl 93,3-4).
Per l’uomo credente di Israele era evidente che solo il Signore può camminare sul mare (cf. Sl 77,17s), dominare il mare (Sl 89,9s; 74,13s; 107,23s), così come solo il Signore può perdonare i peccati.
I pesci, abitanti dì queste acque, da una parte, se di grande dimensioni, erano visti come minaccia, come espressione del mistero dei male che si nascondeva negli abissi, dall’altra i pesci normali, quelli che si pescavano per nutrirsi, esprimevano forza vitale, proprio per quel loro vivere nelle acque, e fecondità. Resta comunque che, quando si parla di pesci come simbolo dell’umano, possiamo sempre vedervi implicito, anche se potenzialmente vinto – per es.- nel battesimo -, l’aspetto oscuro, segnato dalla morte, massima espressione del male: potremmo ricordare Giona, Tobia,ecc. ma ci fermiamo.
Gesù, nel battesimo che vuole ricevere da Giovanni il Battista, mettendosi tra i peccatori, entra nelle acque e ne esce avendole trasformate in acqua fonte di benedizione e Spirito Santo per noi. L’immagine quindi della pesca e dei pesci ben si presta a Gesù per indicare l’opera di salvezza che riguarda proprio gli uomini, nel loro vivere in situazioni segnate dal peccato, dai male, dalla morte, ma mai disperate per la forza della vita o meglio del Vivente.
Questo lo sfondo dell’episodio di Lc 5,1-11 che ora prendiamo in considerazione più da vicino. Gesù insegna stando presso il lago o seduto dalla barca. In Mc questo è espresso in modo ancor più forte perché il lago è sempre chiamato mare, sia quando Gesù insegna che quando chiama (cf. Mc 1,16), anzi “Gesù è seduto in mare” si dovrebbe tradurre (cf Mc 4,1-2) e il sedere è legato all’esercizio della regalità. Gesù insegna con autorità! il farlo stando sul mare indica che può insegnare in mezzo a tutto quanto di negativo e avverso c’è nella storia umana: la sua Parola è più potente ed efficace di qualsiasi difficoltà ed ostacolo. Per dare evidenza alla forza della sua Parola, alla fine, Gesù chiede a Simone di prendere il largo, o meglio di “andare in acque profonde” e gettare là le reti, pur non essendo il momento adeguato. Forse non a caso Gesù aveva scelto i suoi discepoli tra i pescatori: i suoi contemporanei, educati dai salmi e dai profeti, potevano cogliere la forza del messaggio implicito nei fatti, che noi sappiamo solo esplicitare con quanto viene dopo e andando oltre la lettera.
La reazione dell’esperto marinaio che è Simone mostra quanto Gesù cercava di insegnare: si ascolta, quando, andando al di là dell’evidente vana fatica, ancora ci si mette in gioco: “sulla tua Parola getterò le reti”.
La quantità enorme di pesci sta ad indicare quello che poi nel libro degli Atti verrà detto “E la Parola si diffondeva” (At 6,7;12,24;19,20), e così le due barche: c’è sempre una abbondanza quando c’è un dono dall’alto, ma questo non fa mai a meno del contributo umano. Simone divenuto Pietro ha capito che chi domina il mare e i suoi abitanti non può essere che dall’Alto e, da uomo peccatore come tutti, percepisce la distanza: è questo lo stupore di cui si parla nei testo, quel sentimento forte che si sperimenta di fronte a quella che appare una inaspettata teofania. Le parole di Gesù lo confermano: invitano a “non temere”, ma anche affidano una vocazione-missione e quindi rendono nuove creature quei pescatori che per Gesù lasciano tutto e lo seguono.
Un episodio che non suscita perplessità dal punto di vista storico, nei senso che può essere del tutto verosimile, in quel luogo, in quella epoca, quindi si riveste di un messaggio teofanico ed esprime come il Signore si rivela a chi lo ascolta all’ interno della propria vita, con eventi e parole a lui consuete, ma proprio là dove sperimenta il limite, l’insuccesso, la delusione ed è a mani vuote. “Sulla parola del Signore” non si deve far altro che quello che si sa fare, non si deve far altro che quello che il quotidiano chiede, come e quando il Signore vuole, certo, a volte, anche al di là delle regole del buon senso, gettando le reti in momenti inattesi e inadeguati, in “acque profonde”, là dove ci sono sempre germi di vita che lui solo sa, e… si diviene fecondi!
Non è possibile portare frutto sul piano spirituale in profondità, nella propria vita come nella storia, se non per mezzo della fede-fiducia nel Signore. Ma la verifica della nostra fede-fiducia sta nel ritrovarsi pesci “vivi” con i pesci che lottano per la vita, peccatori perdonati tra peccatori che cercano la luce, capaci solo di piccole cose: solo il Signore salva!. Allora il Signore potrà servirsi di noi, delle nostre barche, e, alla fine della pesca, sapremo solo dire: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”, perché l’opera del Signore, nel trasfigurare le vite tratte fuori dal mare, non può che destare stupore. Il Signore fa cose grandi con le piccole e l’opera nostra serve, spesso, a svelare solo ciò che il Signore ha già compiuto in noi e negli altri. Il pescatore di uomini, “con il tempo e l’esperienza si rende conto che Cristo stesso gli manda coloro che Lui ha già visitato, che hanno già gustato al sua presenza” (T.Spidlik), e di fatto nel testo lucano si dovrebbe tradurre: “Non temere; d’ora in poi sarai uno che prenderai vivi uomini”, quindi uomini che Colui che dona la vera vita ha già raggiunto (l’esempio di Paolo conferma!), solo lui può toccare i cuori!
Nel brano sono coinvolti Pietro, Giacomo, Giovanni, i tre discepoli che vivranno con Gesù i momenti più forti della sua vita terrena, che esprimono ciò che la chiesa intera è chiamata a vivere. Loro tre sono anche tra i sette discepoli che nel vangelo di Giovanni (21,1-14) fanno l’esperienza dell’incontro con il Risorto ai lago di Tiberiade, apparizione che richiama il brano di Luca, quasi a dirci la continuità tra il Gesù uomo tra gli uomini e Gesù Risorto: i gesti familiari, più ancora di quei tanto di mistero che avvolge la sena, rivelano il Signore.
Certo ormai oltre alla fede, c’è l’amore, l’amore di Gesù che li attende sulla riva per ristorarli, quello del discepolo amato che riconosce, quello di Pietro che va incontro, “pronto” con la veste cinta come Gesù nella lavanda dei piedi, l’amore che si esprime nel mettere insieme i pesci del Signore con quelli degli uomini, nel banchetto di comunione. Non è più notte, è già mattino!
Parole ed eventi di Gesù di Nazaret, Signore, devono irrompere nella nostra vita e illuminarla, fugando la paura delle cattive acque, perché nell’amore di lui i “pesci” restano sempre “vivi” e saranno a suo tempo pescati per la vita che non muore.