I DISCEPOLI DI EMMAUS
Presente / Assente
“Speravamo nel diritto ma non c’è,
nella salvezza ma essa è lontana da noi” (Is 59,11).
L’esperienza della delusione umana nei riguardi di Dio è antica, è di tutti i tempi, sia che diventi gemito di colombe o urlo di orsi (cf. Is 59) o tristezza e chiusura di cuore (cf. Lc 24): ha diverse connotazioni, ma sempre rimanda a un Dio che noi volevamo in un certo modo e invece si manifesta diverso. Non è assente, è “Altro”.
Il difficile è, a volte, proprio comprendere che non è assente, non è “morto”, ma semplicemente non è quello che noi pensavamo, immaginavamo, non è quello che ci è stato detto; occorre “un incontro”, occorre farne una esperienza personale.
Questo suo manifestarsi “Altro” può essere reso anche con l’immagine di un Dio che non è fuori di noi, ma dentro di noi, nascosto, velato, ma lì, in attesa che noi andiamo in profondità, scavando dentro eventi, sentimenti, pensieri.
E’ vero che nell’episodio dei discepoli di Emmaus Gesù si pone accanto a loro come compagno di viaggio, ma poi sparisce, lasciando loro solo la piena consapevolezza che qualcosa è avvenuto nei loro cuori che si sono aperti allo “straniero”, che li ha affiancati nel cammino e ha fatto loro cambiare i ragionamenti, le attese, la memoria delle Scritture: Lo hanno incontrato!
Gesù scompare ma resta un vissuto interiore, restano le tracce indelebili di un incontro significativo che danno corpo al dono dello Spirito con cui il Risorto segna, ricrea, rinvigorisce, illumina.
Il mistero di Dio è insondabile e scoprirne in Gesù, morto ma vivente, un tratto così inaspettato, paziente, caldo di vita e amore è una esperienza che rinnova la comunione, l’alleanza con lui e la capacità di rendergli testimonianza.
Gesù non è solo un compagno di strada, un esempio di vita, qualcuno che dà speranza ai nostri ideali, alle nostre attese umane, è il Signore, è l’alfa e l’omega, il principio e la fine, è l’immagine del Dio invisibile; tutte le cose sussistono in lui, e per mezzo di lui tutto è riconciliabile, riappacificato (cf. Col 1), reso immacolato e rinnovato nella speranza promessa dai profeti, speranza che in Lui viene “aperta” compresa, rilanciata e condivisa con lo spezzare il pane, pane della Parola e pane del Suo Corpo dato per noi.
Parola / Esperienza
Dinamica fondamentale della vita spirituale è la circolarità tra la Parola del Signore e l’esperienza di vita: non l’una senza l’altra può portare ad un incontro profondo, vero, essenziale con Gesù, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio.
Non comprendono Gesù gli scribi esperti nelle Sacre Scritture, ma neppure i discepoli, pur standogli accanto e condividendone la vita quotidiana, finché una luce interiore, un calore che tocca il cuore, non dischiude loro la verità riguardo a Lui.
A volte è solo un lampo, poi torna l’opacità.
Anche quando Gesù arriva ad affermare “tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compirà” (Lc 18,31), essi “non compresero nulla di tutto questo; quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto” (Lc18,33).
Era solo parola, ancora mancava l’esperienza o non la si prendeva nella giusta considerazione. I discepoli avevano vissuto alcuni eventi, anche forti come la Trasfigurazione, ma ancora non li avevano scavati con la Parola e quindi resta vero anche per loro quanto Gesù dice nella parabola del povero Lazzaro “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti, saranno persuasi” (Lc 16,31).
E’ quanto vivono i discepoli di Emmaus, allontanandosi da Gerusalemme.
Gesù è risorto, ma per loro tutto è finito; anche se proprio Gesù cammina con loro, sono incapaci di riconoscerlo. Non serve loro che si dica che Gesù era un profeta potente in opere e parole, che davvero avesse suscitato la speranza della liberazione di Israele, non serve la testimonianza di alcune donne; per loro Gesù è morto, non è più vedibile, incontrabile: per questo è per loro solo un forestiero. Ma proprio questo forestiero li aiuta a collegare la loro esperienza con le Scritture e qualcosa avviene in loro: finalmente i loro occhi si schiudono e riconoscono nel gesto dello spezzare il pane il Maestro che avevano seguito e in cui avevano posto le loro speranze. Finisce la loro fuga e sono pronti a tornare dai compagni, per testimoniare che la loro avventura riparte.
Luca nella vicenda dei discepoli di Emmaus ci fa cogliere fino in fondo quanto è necessario che Parola ed esperienza del Signore si intreccino, si intessano perché il Signore sia davvero riconosciuto in tutto il suo mistero presente nelle nostre vite. C’è qui qualcosa di fondamentale per la nostra fede: occorre saper leggere le nostre vicende con la Parola tutta, da Mosè ai profeti fino a Gesù, ai Vangeli, a Paolo e occorre saper leggere tutte le Scritture con le nostre vite, perché lo Spirito ne sprigiona il senso a seconda delle nostre necessità.
Solo così non solo il Risorto è riconosciuto, ma nasce la comunità dei credenti, luce per il mondo intero.
Giuliana Babini (in Icona parola preghiera –Fraternità della luce 2005)