Per vivere bene l’esperienza della preghiera, intesa come momento privilegiato di rapporto col Signore, tempo per Lui solo, al di là di quell’atteggiamento contemplativo col quale noi cristiani dovremmo saper vivere, che consiste nel tutto riportare al Signore, nel conglobare tutto in una visione di fede, occorre avere la coscienza che si tratta di vivere interamente e intensamente il momento presente: è qui, è ora, è oggi che è possibile la manifestazione del Signore, l’incontro con Lui che “segna” e “coinvolge” nel suo mistero.
La tradizione degli oranti insegna che solo il presente è in nostro potere, che perciò alla preghiera bisogna prepararsi, occorre predisporre il cuore inteso come sintesi di tutte le energie umane (il sentire, il volere, il desiderare, l’amare, l’intendere): solo cosi il momento dell‘inizio della preghiera sarà un mettersi tutti interi (anche fisicamente) davanti al Signore, sarà offerta, sarà disponibilità, sarà grido. E poi? Poi sarà quello che sarà: accoglienza del dono che “gratuito” arriverà, uno starsene, se ne siamo capaci, semplicemente “rannicchiati” aspettando, un ricominciare per tutto il tempo a rimettersi tutti interi in ascolto del Signore.
La preghiera è questa esperienza nel momento presente e, direi, del momento presente per due motivi:
– si tratta di imparare a vedere il Signore nella mia storia, “ora” accanto a me Padre, Figlio, Amore, maestro, fratello, compagno di strada…
– si tratta di farmi presente alla storia della salvezza, alla vita del Signore per capire chi è Lui, quale è la sua pedagogia, cosa indica con il suo esempio o quello degli uomini da Lui scelti.
Non si tratta nella preghiera di chiedersi se il Signore c’è, mi ascolta… Lui sicuramente c’è ed è vigile, ma occorre vedere se io ci sono al presente, se io, cosi come sono oggi, ci sono nel momento della preghiera: ci sono infatti due tipi di ostacoli alla mia presenza:
i pensieri e gli atteggiamenti verso il passato o/e il futuro.
I pensieri
II Signor accoglie tutto di me, ma io spesso no, e allora vado dietro alle tante suggestioni che si affacciano. I Padri ricordano che è impossibile eliminare tutte le suggestioni, ma con forza invitano i discepoli a non dar loro spazio, importanza, a sorriderci, a non prenderle sul serio: “per pregare meglio potrei… “: però prima di fissare lo sguardo sul Signore, è bene che decida cosa fare con….”: “io farei quella cosa meglio di…”; “subito dopo la preghiera cosa mi preparo per cena?, “forse invece di pregare, farei meglio ad andare a trovare…”; e possono camminare nella mia testa cose ben peggiori di queste!
Ancora i Padri invitavano a imitare Gesù nelle tentazioni, cioè a contrapporre ai pensieri un versetto della parola di Dio o meglio a rifarsi a quella espressione che per loro riassumeva tutto: “Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore!”.
Forse non tutti siamo capaci di tanta semplicità, ma ecco di nuovo il senso della preparazione alla preghiera: sapere cosa si va a fare, cosa si desidera in quel tempo dato al Signore, su quale testo fermarsi, allora arriva la suggestione e io ritorno al testo, così sarò là presente e il Signore potrà parlarmi con quel testo, illuminarmi una situazione; altrimenti un po’ sarò in America Latina, un po’ da un amico, un po’ in ospedale, un po’ in cucina, un po’ per le strade… certo tutto posso riportare al Signore, tutto posso trasformare in intercessione, ma io ho bisogno di quell’intimità che solo mi è data dal cuore a cuore, dall’entrare io nel suo mistero, perché rinunciare allora agli aiuti suggeriti dai santi Padri?
Gli atteggiamenti
Per essere nel presente disponibile e attento devo fare i conti con il mio passato e con il futuro, essi infatti, mio malgrado possono rapirmi lontano.
Perché Pietro sbaglia cosi spesso nella sua relazione con il Signore? Generoso è generoso, ma non sa sistemare i tempi. Chiede di camminare sulle acque, ma poi ritorna ai dubbi del passato e affonderebbe se il Signore non sapesse aver pazienza col nostro viver sfasati.Chiede di fare tre tende per fissare al presente il passato (Mosé ed Elia) e il futuro (Gesù trasfigurato) come se fosse possibile acchiappare al volo il futuro invece di raggiungerlo faticosamente, coinvolti tutti interi fin in fondo, “camminando” a partire dal passato senza però trascinarselo dietro, sapendo andare oltre in novità di vita. E a Gesù, che fa luce sul presente, che è cammino verso Gerusalemme, verso la passione, Pietro dice che “non è il caso” e questo lo ripeterà col suo “non lo conosco” dopo l’arresto di Gesù. Sarà solo lo sguardo di Gesù che lo inchioderà al presente: finalmente piange, ma piange per quello che accade in quel momento, nel suo presente: è forse, dopo tante, la sua esperienza di preghiera più vera che si ripeterà poi nella consolazione: “Mi ami tu?”, “Signore tu sai tutto…”.
Occorre scoprire che già apparteniamo al Signore, gli siamo legati perché Lui ha voluto fare comunione con noi, al di là del nostro passato, prima di quanto sapremo fare in futuro, ora, qui, anche se capiamo poco, quel tempo per Lui è già segno del suo desiderio di trasformarci, trasfigurarci. E’ tanto difficile discernere con quale atteggiamento ci mettiamo a pregare, mi è quindi subito piaciuto uno schema, e come tale è ovvio che è relativo e riduttivo, che un amico gesuita ha proposto sia per indicare il positivo che il negativo riguardo al modo di porsi nei riguardi del passato e del futuro:
atteggiamenti, per il passato: negativi = rimpianti, risentimenti, rimorsi;
positivi = ricordo, riconciliazione, riparazione;
per il futuro: negativi = paure, precipitosità, provvisorietà:
positivi = prudenza, pazienza, progettualità.
Se vado alla preghiera con rimpianti, rimorsi, risentimenti rischio di non esserci perché cuore, mente e tutto il resto sarà là dove è accaduto ciò che mi si muove dentro: occorre che il vissuto sia, semplicemente, nel ricordo un elemento costitutivo del tessuto della mia storia, magari uno di quei pezzi di cui solo il Signore sa servirsi, ma accolto in un movimento di riconciliazione e di riparazione per quanto è stato, sia che riconciliazione e riparazione siano state possibili nel concreto, sia che siano state affidate alle mani del Signore: allora ci sarà spazio per il Signore ora, qui, oggi.
Per comprendere come cambiare i nostri atteggiamenti non resta che ritornare a contemplare la parabola del padre misericordioso (Lc 15.11s), dove l’incontro tra il padre e il figlio minore si può celebrare nella gioia proprio perché ogni orientamento del cuore negativo è messo da parte, mentre non può partecipare alla gioia il figlio maggiore, benché abbia un passato più rispettabile, perché coltiva in sé rimpianto e risentimento per quanto avrebbe potuto fare e non ha fatto, guarda indietro!
Se facciamo fatica per questo percorso, possiamo affiancarci ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13s) ed ascoltare il Viandante che illumina il senso di ciò che sembrava fallimentare e lui trasformerà l’orientamento del nostro cuore.
Se poi abbiamo bisogno di un esempio concreto, prendiamo Zaccheo (Lc 19,1s) e vediamo come, se il cuore è aperto, si può passare rapidamente dal passato al futuro; la festa nella sua casa non è solo riconciliazione e riparazione di un passato, ma anche progetto di impegno in qualcosa di buono.
Posso infatti anche andare alla preghiera tutta presa da paura per il futuro, da una provvisorietà confusa e disorientata, da una precipitosità inconsistente che pensa tutto vedere e tutto decidere in quel tempo di preghiera, e allora ancora una volta manco all’appuntamento: sarò lì, ma testa e cuore hanno già bruciata l’ora dell’incontro con il Signore e si ritrovano con i progetti nati da loro.
Qui sono a proposito la splendida pagina sulla Provvidenza (Lc 12,22s) e quella sulla serietà dell’impegno (Lc 14,28s). Certi atteggiamenti infatti sono negativi perché ci fanno comportare come se tutto dipendesse da noi, mentre è fondamentale ricordarsi della Signoria di Dio, “non avete potere neanche per la più piccola cosa” e vivere un vero abbandono fiducioso, “il Padre vostro sa di cosa avete bisogno”: questo però senza faciloneria, ed ecco quindi la prudenza e la pazienza, “calcolare ed esaminare”: il Signore ci vuole collaboratori attivi dei suoi progetti di pace.
Certe cose possono anche assillarci, ma andando alla preghiera occorre disporci ad un’attesa vigile – l’iniziativa è sempre sua!- un’attesa che, oltretutto, è la sola che ci rende disponibili a quanto il Signore vuole da noi e lascia a Lui trasformare il nostro caos, e per opera sua allora può nascere in noi una progettualità lungimirante, serena, abbandonata: così si è davvero davanti al Signore, con il Signore, nel Signore! Anche qui la preparazione è importante. Secondo i momenti sarà l’uno o l’altro degli atteggiamenti – di quelli citati e dei tanti altri qui non ricordati (contorcimento – semplicità, autosicurezza – abbandono…) – che ci ostacolerà: chiedercelo è predisporsi, è allargare il cuore, e rendere possibile che la preghiera ci converta e ci trasfiguri, facendoci capaci di percorrere la strada che il Signore vuole per noi, così come la Trasfigurazione spinse il Signore Gesù al compimento della sua missione di dare la vita per gli uomini.
Giuliana Babini da Jesus Caritas 44/1991