LE FIGURE FEMMINILI NELLA BIBBIA: UNA INTRODUZIONE A PARTIRE DAI CONTESTI

 

La Bibbia è un testo talmente ricco di figure femminili, sia con nome e fisionomia / personalità proprie sia anonime, nei vari ruoli possibili, che forse non ha paragone nel mondo antico.
Nella interpretazione dei vari libri che la compongono spesso però le figure femminili sono trascurate o fatte rientrare in schemi preconfezionati, dico nelle interpretazioni perché oggi che rileggiamo i testi in modo più analitico e rispettoso, in realtà non finiamo di riscoprirne i volti.
La Bibbia, sia ebraica che cristiana, in realtà è un complesso di testi molto diversi tra loro per genere letterario e anche per lingua, un complesso di testi che, anche guardando solo alla redazione scritta, che riporta tradizioni ben più antiche, abbraccia quasi mille anni, quindi momenti culturali diversi: mettere tutto dentro un medesimo quadro “la donna era considerata così” è limitare la nostra comprensione, sia che lo si faccia secondo una tradizionale lettura patriarcale, sia secondo una moderna lettura femminista, passaggio questo forse obbligato per spolverare figure e aspetti, ma troppo unilaterale soprattutto per chi nella Bibbia non vede solo l’aspetto letterario, ma una feconda lettura del mondo e di Dio.
In realtà tra le figure delle matriarche e certe espressioni sapienziali vi è distanza e continuità come vi è anche tra queste e le donne attorno a Gesù e nelle prime comunità.
I libri sapienziali, – che non sono gli stessi nelle nostre Bibbie cattoliche e in quelle ebraiche, che escludono i testi scritti in greco -, partono dal vissuto comune, dal sempre misterioso gioco tra uomo e donna, dalla distinzione tra dimensione pubblica e quella privata, in cui in tutte le società antiche si sottolineava, sempre, – comunque fino ad un certo punto -, la parte dell’uomo.
Non si tratta, ripeto, di invertire con l’interpretazione le parti, ma di fare sempre di più una lettura inclusiva che rispetti le relazioni tra esseri viventi.
Per chi crede, oltretutto, il messaggio della Bibbia è innanzi tutto rivelativo di chi è Dio e di chi è l’uomo, includendo in questo termine maschi e femmine; c’è una rivelazione portata avanti con delle narrazioni, nelle quali però la portata storica è molto relativa rispetto a quello che intendiamo noi oggi per storia/cronaca: per noi è fondamentale ciò che è veramente accaduto, un tempo era essenziale il senso e il senso dell’accaduto va al di là di maschio-femmina.
E qui permettetemi di ricordare alcune nozioni fondamentali per capirci.
Il Canone ebraico è composto così: Torah (la legge) o Pentateuco – I profeti (Nebiìm) anteriori e posteriori – Gli scritti (Ketuvim).
Il Canone cristiano cattolico è composto in modo più variegato: Pentateuco, libri storici, libri poetici e sapienziali, libri profetici e ovviamente tutto il Nuovo Testamento che comprende a sua volta, diversi generi letterari.
La disposizione dei libri nella Bibbia ebraica è diversa da quella che troviamo nelle nostre Bibbie e questo non è senza conseguenze per la lettura che ne facciamo.
I primi 5 libri sono uguali in entrambe le tradizioni, anche se gli ebrei li chiamano tutti insieme Torah (Genesi Esodo Levitico Numeri Deuteronomio, che loro poi indicano con la prima parola del testo), subito dopo vengono per loro i profeti che cominciano con quelli che noi invece chiamiamo libri storici per poi arrivare ai grandi profeti, prima dei quali noi invece inseriamo i libri sapienziali che loro mettono alla fine a parte e vi includono i 5 Meghillot (rotoli) che vengono letti nelle grandi feste (Cantico dei Cantici a Pasqua; Rut a Pentecoste; Lamentazioni al 9 di Ab (caduta di Gerusalemme); Qohelet alle Capanne Ester a Purim).
Noi cristiani creiamo come un ponte tra i profeti e il Nuovo testamento che per noi è il compimento delle Scritture antiche; gli ebrei ci donano una lettura della storia in continuità con la profezia in quanto questa più che anticipare un futuro, era leggere in profondità ciò che avveniva con lo sguardo del Signore. Si vuol capire cosa il Signore fa dietro/ dentro gli eventi (storia della salvezza), l’alleanza tra Dio e il suo popolo e come questo la vive.
Accenno a queste cose perché sempre il contesto immediato e anche quello generale sono fondamentali per capire un testo, ma anche per cogliere un personaggio o un tema, anche quello della donna.
Un esempio per tutti i possibili: il libro di RUT
Rut per noi è un libretto posto tra Giudici e i libri di Samuele sul sorgere della monarchia, quasi a collegare due epoche che sembravano troppo distanti: Rut le collega in quanto la troviamo posta nella genealogia davidica, e quindi anche tra le antenate di Gesù.
Per gli ebrei il libro di Rut è posto invece tra i libri sapienziali che aiutano ad entrare nelle grandi feste, e Rut introduce alla festa di Pentecoste (o delle Settimane/Shavuot) nella cui stagione (raccolta dell’orzo) la storia è collocata, ma anche perché in tale giorno si celebra il dono della Torah, della Legge quale vertice della liberazione pasquale, e si annuncia come tutti i popoli, anche i più avversi ad Israele come Moab a cui appartiene Rut, finiranno per riconoscere la Legge e la Liberazione della Pasqua (cf. universalismo dei profeti, specie Isaia); inoltre quella di Rut è una storia tutta percorsa dalla chesed (bontà, misericordia, benevolenza….è di difficile traduzione) come tutta la Torah, cioè di quell’atteggiamento che tiene in conto del bisogno dell’altro, che sa andare oltre la regola così come nella storia fanno Rut e Booz, come di fatto dovrebbero fare tutte le persone a qualunque religione appartengano per accogliersi l’un l’altra veramente.
Noi potremmo aggiungere che tale atteggiamento è dono dello Spirito, che soffia dove e quando vuole, per cui anche per la Pentecoste cristiana Rut è lettura significativa.
Non so se conoscete la storia: quello di Rut è il libro più breve della Bibbia, sono solo 4 capitoli. Racconto in sintesi la trama perché dice molte cose a riguardo delle figure femminili, vere protagoniste del libretto.
A causa di una carestia, una delle tante in contesto biblico, una famiglia, padre, madre e due figli, da Betlemme, quindi dalla Giudea va a vivere nei campi di Moab, una delle popolazioni tradizionalmente nemiche di Israele. Muore il padre, i figli sposano due moabite, ma entrambi muoiono senza aver generato. Noemi, la madre, sente dire che nella sua terra la carestia è finita e decide di rimpatriare, e prega le nuore di , tornare a casa loro per poter trovare un altro marito, lei non ha nulla da offrire loro. Una delle due, Orpa, lo fa, ma Rut le dichiara: “dove andrai tu, andrò anche io, dove starai tu, starò anche io, il tuo popolo sarà il mio popolo, il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anche io…” (1,16-17).
Noemi accoglie la sua decisione, che vede mossa da un amore/amicizia a tutto campo, che fa lasciare a Rut parenti e propri dei, e così le due donne giunsero insieme a Betlemme, Noemi e Rut, la moabita, sua nuora, “..quando si cominciava a mietere l’orzo”(1,22).
E qui ci è offerto uno spaccato di vita quotidiana propria di Israele, dentro il quale si fa presente il Dio di Israele, anche se non invocato: c’è il diritto del povero a spigolare (e nessuno lo è più di due vedove, di cui una per giunta straniera), c’è la legge del levirato (obbliga un parente stretto – di solito il fratello – a dare discendenza al morto), c’è la legge del riscatto (obbliga un parente a riscattare la terra abbandonata per povertà o morte senza discendenti).
Rut decide di andare a spigolare perché lei e la suocera abbiano da mangiare e “per caso” (dietro il quale nel pensiero biblico vi è sempre il disegno del Signore) capita sui terreni di Booz, uno della famiglia di Elimelek, il marito di Noemi. Di Booz non compare una moglie (scapolo ? un po’ strano visto che non è giovane, forse vedovo, non sappiamo).
Il gesto di Rut di aver accompagnato Noemi, la sua disponibilità ad andare a spigolare le attira il benvolere dell’opinione pubblica e quello personale di Booz, e le due donne possono sperare “oltre” e agiscono per ottenere il pieno reintegro, al punto che Ru si espone di notte sull’ aia anche troppo. Booz, però, che non è da meno di Rut quanto a bontà, non interpreta male l’esporsi di lei, anzi ne coglie la portata al di là di ogni possibile attrattiva personale, e supera gli ostacoli rappresentati da un altro che aveva maggiori diritti di lui; questi avrebbe anche preso la terra ma ci rinuncia, in quanto avrebbe dovuto anche prendere Rut che poteva generare un erede a cui la terra poi sarebbe appartenuta, senza nessun vantaggio per lui. Booz si impegna ufficialmente, la prende in moglie e ne riceve lode dagli anziani.
Quando Rut genera un figlio, le donne (altra presenza significativa nel libro come voce del popolo) dicono “è nato un figlio a Noemi” per dire che davvero è terminata la sua vergogna di vedova senza figli. E il libro si chiude con il ricordo della genealogia di Davide.
Io ho riassunto, ma lo stesso racconto biblico è molto sobrio per cui spesso le narrazioni di questa simpatica storia di amicizia al femminile, amicizia al posto della tradizionale rivalità suocera-nuora, sono riempiti dalla fantasia di chi racconta.
Per noi Rut come protagonista si contrappone alle figure dei guerrieri che la precedono nel libro dei Giudici (lì lo sono anche due figure di donna, Deborah e Giaele) e la seguono nei libri di Samuele e Re, quasi a dirci che la storia si compie anche su altri piani più familiari, quotidiani (piani sempre presenti accanto alle guerre anche nelle vite dei Re, per non dire poi oggi!).
Nella lettura ebraica invece Rut, che si fa proselita del Dio di Israele , si contrappone alle tante figure di donne straniere, che fanno traviare anche i Re, perfino uno come Salomone, non tanto come prostitute ma in quanto idolatre: in Israele la vera prostituzione è l’idolatria, è il rifiuto del Signore Dio di Israele, tentazione sempre forte per il bisogno di fecondità (gli dei erano considerati legati alla terra), di alleanze o per l’esilio.
Rut (e Noemi) è una donna saggia, come lo sarà Abigail nella storia di Davide, come sono state in fondo le matriarche, come saranno Ester e Giuditta ( anche se i rispettivi libri di queste, Ester in parte, Giuditta del tutto, non fanno parte del canone ebraico, ma ne rispecchiano in pieno la sapienza).

Dopo queste premesse, posso proseguire raccontando il mio approccio al tema della donna nella Bibbia.
Stanca di sentire presentare la donna attraverso i Sapienziali ( i primi capitoli della Genesi ne fanno parte e quindi Eva compresa) come “pericolo”, da giovane ho provato a schedare tutti i testi dei nostri (inclusi quindi i testi greci) libri sapienziali per verificare certe affermazioni.
La visione solo negativa della donna è posteriore e anche certi testi rabbinici misogini al massimo non sappiamo quanto siano antichi, e quindi della tradizione orale o appartengano già ad epoca ellenista (per Aristotele le donne erano uomini mal riusciti, mentre i detti dei padri/rabbini forse si fermavano a dire che erano ignoranti e di scarsa intelligenza….ma se pensate a Proverbi 31 capite che c’è tutta una tensione interpretativa).
Certo i libri sapienziali partono dalla realtà e in essa ci sono le donne belle e buone e quelle idolatre e maligne come ci sono gli uomini saggi e quelli stolti, padri e madri che educano e padri e madri che non sanno gestire i figli/e e figli e figlie che obbediscono ed altri che deviano.
OK la realtà è così !
Ma questo è invito a saper leggere la realtà col timore di Dio, non scredita la donna.
Vi è un testo nel Siracide escluso dal canone ebraico perché giunto in greco (anche se è riconosciuto che in origine il libro fu scritto in ebraico) che io ho da allora avuto molto caro, (caro più del più famoso Prov 31 che è l’elogio della donna saggia, ancora intitolato – i titoli sono interpretazione non rivelazione!- purtroppo nella nostra Bibbia “La perfetta donna di casa”, mentre di fatto è piuttosto il ritratto di una imprenditrice), si tratta di Sir 36, 23-28: il testo indica la positività della donna, ma ora mi piace leggerlo in forma inclusiva perché, quando si parla dell’uomo maschio o della donna, sempre si vuole indicare come deve essere la persona per l’altro, maschio o femmina che sia.

Ecco il testo (pensate da sole alla retroversione al maschile):
23Una donna accetta qualsiasi marito, ma vi è una giovane che è migliore di un’altra. 24La bellezza di una donna allieta il volto e sorpassa ogni desiderio dell’uomo. 25Se sulla sua lingua vi è bontà e dolcezza, suo marito non è un comune mortale. 26Chi si procura una sposa, possiede il primo dei beni, un aiuto adatto a lui e una colonna d’appoggio. 27Dove non esiste siepe, la proprietà viene saccheggiata, dove non c’è donna, l’uomo geme randagio. 28Chi si fida di un agile ladro che corre di città in città? Così è per l’uomo che non ha un nido e che si corica là dove lo coglie la notte.

Partendo da questa ottica si scopre che il progetto di Dio dalla Genesi in poi implica più un guardare alla relazione tra i due e alla loro relazione con il Signore che non ai ruoli sociali. Fermarsi al dato sociale unilaterale impoverisce.
Resta vero che l’essere umano è fatto per non vivere solo: maschio e femmina finivano per indicare due ambiti, il pubblico e il privato, ma quale è più importante dei due? è difficile dirlo per allora come per l’oggi; solo un difficile equilibrio, che fa accettare i limiti creaturali, aiuta ad entrare nel profondo messaggio biblico sempre valido.
Maschio e femmina finivano per indicare rispettivamente i capi, i potenti e il popolo, (anche i nomi di città erano femminili), i poveri; la donna restava relativa ad un padre, un marito o un figlio maschio, come il popolo non poteva fare a meno di capi; le poche figure di donne indipendenti sono ricche o prostitute…..ma questo non certo solo nel mondo ebraico, anzi forse è il forte influsso ellenistico che ne accentua queste ultime caratteristiche (vedi per tutte la Maddalena trasformata in peccatrice, mentre nel contesto era più forte il legame malattia- demonio, certo la malattia aveva a che fare col peccato ma questo poteva essere di altri!)
I modelli di donna che la Torah ci offre invece le vedono tutt’altro che passive esecutrici dei voleri dei loro mariti, anzi sono i patriarchi che dipendono spesso dalle mogli per le cose essenziali, prima fra tutte, il futuro dei figli!
Non solo le madri di Israele sono così, ma se guardiamo alle antenate di Gesù troviamo in Matteo citate quattro donne mosse da una lucidità sopra le righe, Tamar, Raab, Rut, Betsabea. La continuità/sopravvivenza di un popolo è legata alle donne, ma la scrittura non mette mai la morale prima della vita e così nella genealogia di Gesù ci sono presenze altre, anomale se vogliamo, come in tutta la storia di Israele, dall’esodo in poi.

Dato che stiamo dando uno sguardo un po’ generale, per non fermarmi all’A.T. vediamo cosa troviamo in Marco, il vangelo più breve. Quando si parla di figure femminili di solito si guarda a Luca e a Giovanni, ma fermarci su Marco non è meno interessante. A parte una decina di testi in cui vengono ricordati in modo generico ruoli femminili (madre – anche Maria figura solo come madre di Gesù -, moglie, figlia, serva, vedova), là dove una figura è più delineata, troviamo che mai ha un nome proprio, tranne il caso di Erodiade, che vuole la morte del Battista, quasi a dire che la cattiveria è fatto individuale, specifico, ma non femminile, perché Erode non era certo meglio; poi hanno un nome le donne sul Calvario e presso la tomba di Gesù in quanto chiamate ad essere testimoni della resurrezione, loro che come donne non erano allora testimoni validi, un nome dovevano averlo, un testimone non può essere anonimo.
L’anonimato comunque è ambiguo, non è necessariamente negativo. Può si far dire che le donne sono ben poco visibili e considerate, ma questo forse è proiezione di un nostro vissuto, perché l’anonimato qui credo che rientri in pieno nel fatto già accennato che la donna è figura dell’umanità, del popolo, del povero e aiuta a far cogliere che Dio guarda al cuore e non ai ruoli pubblici, guarda alle attese e alla capacità di far fiducia al Signore.
Abbiamo la suocera di Pietro guarita dalla febbre, l’emorroissa col suo problema di impurità (mai equivalente a peccato), la figlia di Giairo lambita dalla morte, la donna sirofenicia (straniera) alle prese con un demone che tortura sua figlia, la vedova col suo obolo al tempio, la donna che unge Gesù.
Quattro donne hanno bisogno di liberazione dal male come gran parte delle creature umane nella loro lotta quotidiana di vita, ebree o pagane, che siano; di due donne i gesti sono indicati da Gesù come esemplari, in quanto in essi le due donne mettono pienamente se stesse, senza calcoli e riguardi, con fede e amore.
Se scorriamo il vangelo, delle quattro prime figure possiamo trovare equivalenti maschili a conferma che il Signore sa che sia uomini che donne sono alle prese con sofferenze fisiche e morali. Se ci fermiamo invece sulle due figure della vedova e della donna che unge il capo a Gesù prima della passione cogliamo la novità di un rabbi che invece di proibire il discepolato alle donne come era consuetudine (ricevevano una educazione solo in famiglia) ne fa dei modelli di una donazione integra, che va oltre il lasciare tutto messo in atto dai discepoli che lo hanno seguito. E notiamo la vedova è legata al tempio, quindi neppure segue Gesù, ma questi ne coglie l’atteggiamento interiore – affidare al Signore la vita intera- e lo sottolinea ai discepoli che presto lo abbandoneranno nella prova, così come poi accoglie l’unzione su di sé con la sua portata profetica non solo verso Gesù, ma in fondo verso le donne tutte che nel gesto di lei possono riconoscersi come capaci di afferrare il mistero dell’altro, della vita intera nello splendore e nell’oscurità (penso anche ad una Etty Hillesum ormai da tutti conosciuta).
Anche qui non si tratta di escludere gli uomini, ma di cogliere che una intensità di vissuto umano aperto a ciò che va oltre può essere di maschi e femmine, attinge alle profondità che si celano in ciascuno là dove si mette in gioco la propria libertà e tutto quello che si è (la Bibbia usa dire “cuore” con questa valenza).
Una battuta attualizzante conclusiva potrebbe essere: come il sacerdozio vissuto in un certo modo è più quello del tempio dell’antico testamento, se non anche dei templi pagani, che quello di Gesù, così l’atteggiamento della Chiesa verso le donne è rimasto per secoli più legato al modo di intendere dei farisei che alla prassi di Gesù.