Il dialogo di Gesù con la Samaritana: semplicità e profondità straordinarie per quel tempo.
Riflessione biblica condotta da Giuliana Babini
INTRODUZIONE
L’atteggiamento di Gesù verso le donne che incontra è di una semplicità straordinaria, soprattutto tenendo conto della posizione della donna al suo tempo, per cui le donne più facili da incontrare non erano certo quelle di buona fama (per esempio, a mezzogiorno presso un pozzo, da sola, chi poteva esserci? L’acqua, ovviamente, si andava a prendere solo al mattino e alla sera). In Giovanni non si può tacere la portata di questo capitolo quarto, anche se si deve notare che, in quanto figura femminile, la Samaritana non è, salvo recentemente, tra le più trattate nei testi sulle donne nelle Scritture, mentre è figura presa in considerazione in studi psicologici (per es M. Garzonio, F. Dolto).
La pagina del vangelo di Giovanni, che riporta l’incontro con la Samaritana, è di una grande complessità, data anche la carica simbolica di tutto questo vangelo, e occorre farla almeno percepire, proprio perché entrambi i protagonisti ne siano illuminati. Ci interessa la donna, ma ci interessa soprattutto Gesù che questa pagina fa incontrare a ciascuno di noi: la vera “novità” è Gesù e solo in relazione a lui, la donna può essere illuminata di luce nuova.
La presente non vuole essere una lettura strettamente esegetica, anche se dell’esegesi altrui tiene conto, ma soprattutto una lettura che parte dalla tradizione, per la quale la Scrittura si interpreta con la Scrittura; una lettura che ha la pazienza di instaurare una consuetudine con un testo, che diviene così eloquente e dischiude il senso spirituale, generando una sapienza che trasforma la vita; una lettura, nell’ascolto del testo, possibile a tutti, per cui ognuno può contribuire ad arricchire questo senso spirituale, cioè la comprensione del valore rivelativo del testo, prima di fame applicazioni pratiche morali.
Agostino, proprio commentando questo brano della Samaritana, invita a “bussare”, per capire un testo: facciamolo.
Una nota personale: nel lontano 76 avevo scritto a partire dal testo della Samaritana uno dei miei primi articoli per la rivista “Jesus Charitas” della famiglia spirituale di Charles De Foucauld, sulla verginità del cuore, che richiede il mettersi a nudo di fronte a Dio, riconoscendo gli idoli che ingombrano il cuore; una verginità che non può essere scelta come privilegio e diritto, ma solo accolta come dono per sé e gli altri.
E’ bello scoprire che quanto si è maturato non smentisce la riflessione del passato, la scava e la approfondisce con i tanti altri apporti a cui si è potuto attingere. Per questo dopo altrettanti anni mi è parso che questo mio testo del ’94 (“La voce della Madonnina” – Sestri Levante) ancora possa aiutare ad approfondire il brano e ne ho corretto solo in parte la forma. Ora si può attingere a tanti testi che ne parlano, ma la lettura personale è sempre un “unicum” luminoso per chi non sappiamo.
LETTURA A PARTIRE DAL CONTESTO
Seguo la suddivisione che vede nei cap. 2-4 del Vangelo di Giovanni una unità, non solo perché è ipotesi condivisa da molti autori (Zevini – Brown – Segalla – Buzzetri – Léon-Dufour ed altri ) e non è contraddetta, per lo stile di Giovanni a spirale, da chi ne fa un’altra (per es. I. De la Potterie, cioè pone Cana insieme ai testi precedenti per formare la cosiddetta settimana inaugurale), ma perché essa permette una particolare annotazione per il nostro tema, come cerco di mostrare nello schema.
Resta che in Giovanni i temi, qualsiasi suddivisione si faccia del testo, si intersecano, si procede a spirale, a chiasmo: il tema dominante in una sezione va avanti per un po’ anche nella seguente e in ognuna è anticipato qualcosa della seguente, per cui anche il cap. 4 è legato al cap. 5, ma non mancano richiami al cap. 6 (per es. “alzare lo sguardo sulla messe/folla”): è difficile affrontare una pagina di Giovanni senza essere coinvolti nell’intero vangelo.
Tutto, in Giovanni, viene ripreso a un livello più profondo: è come scendere in un pozzo per una scala a chiocciola: man mano che si scende, si vede qualcosa di nuovo, ma per coglierlo occorre tenere presente i raggi di luce che vengono dal cammino già percorso .
Guardiamo lo schema di Giovanni nei capitoli 2-4:
2,1-12 donna – la madre – le nozze – “segno”.
2,13-25 Il tempio – Gerusalemme – il cuore umano.
3,1,21 uomo – Nicodemo – maestro in Israele – rivelazione (Spirito) .
3,22-36 La testimonianza del Battista, amico dello Sposo.
4,1-42 donna – samaritana – pozzo – rivelazione (Spirito) .
4,43-54 uomo – il funzionario (pagano) – “segno”.
Vi è una sequenza – donna uomo / donna uomo – su cui possiamo fare qualche osservazione.
Un uomo e una donna sono legati a un segno, un uomo e una donna sono legati ad una rivelazione di Gesù in cui entra lo Spirito.
Le figure legate al segno – La madre e il funzionario credono e, dopo la presentazione del caso, tacciono. Vi è però un crescendo: il primo segno riguarda la vita in un momento essenziale di essa (il matrimonio nella tradizione giudaica era finalizzato a durare nei figli); nel secondo è la vita a confronto diretto con la morte.
Le figure legate alla rivelazione – Nicodemo e la Samaritana dialogano con Gesù, ma vi è uno sviluppo: Nicodemo interroga, ma non sappiamo cosa recepisce (è notte); la Samaritana si apre al mistero di Gesù (è mezzogiorno).
Anche sotto la croce nel vangelo di Giovanni sono presenti un uomo e una donna.
Vi sono anche due intermezzi, la purificazione del tempio e la testimonianza del Battista: essi mettono in luce quanto in Israele vi era di impermeabile e quanto di disponibile alla novità del Signore che viene.
L’episodio del tempio ci pone di fronte ad una religiosità snaturata, ridotta a mercato (il che succede in tutti i tempi) che Gesù smentisce e siamo riportati alla realtà del Signore che guarda al cuore (2,25), costatazione importante anche per l’episodio della -Samaritana.
Giovanni Battista attesta la presenza di una genuina attesa religiosa e di disponibilità a un cammino di conversione e rende testimonianza a Gesù, come poi farà la samaritana (è sempre il verbo testimoniare sia in 3,26 che in 4,39).
Ma se proviamo ad accostare uomo/uomo e donna/donna, abbiamo ancora una alternanza: una figura del mondo ebraico e una di fuori, e possiamo dire che il funzionario pagano (forse non necessariamente, anche se il confronto con i sinottici e la sequenza ci porta a ritenerlo tale, comunque è uomo periferico rispetto alla religione di Israele) mostra quella fede vera che nel “maestro” Nicodemo resta sospesa a un interrogativo. Invece per le figure femminili possiamo sottolineare una novità. Esse in verità orientano più decisamente a Gesù e al suo mistero: è in primo piano lui a Cana e presso il pozzo. “Chi è mai?”: a Cana si svela ai suoi, in Samaria arriva al mondo.
Andando più a fondo, possiamo notare che le figure femminili compaiono in contesti nuziali, le nozze e il pozzo, luogo in cui, all’epoça dei patriarchi, si sceglieva la sposa. Risalta allora la diversità profonda tra le due donne; saremmo tentati di dire la donna onesta e la prostituta, l’ebrea e la samaritana, ma in relazione a Gesù invece va detto che vi è una dilatazione della sua esperienza: non è più il confronto con sua madre che lo provoca, ma liberamente è lui che prende l’iniziativa di dialogare con una donna che più” altro” da lui non poteva essere: lui uomo, giudeo, fedele, giusto, puro, protagonista, maestro, messia, Dio; lei donna, samaritana, eretica, peccatrice, impura, discepola, testimone, creatura.
Anticipando, potremmo dire che si passa dal radicamento ebraico all’universalità della salvezza; quindi, in chiave simbolica, dalla Sinagoga alla Chiesa. Agostino dice subito della Samaritana che “è una figura della Chiesa”.
Molti sono i richiami verbali tra questi testi e io ve ne farò notare alcuni (tralasciando quelli con il resto del vangelo), ma per prima cosa occorre cogliere che solo geograficamente si torna al punto di partenza (da Cana a Cana); in realtà ci si è profondamente allontanati dal mondo giudaico: Gesù ha preso le distanze da sua madre, dal tempio, dai maestri di Israele (Nicodemo), dal Battista e ha abbracciato con la Samaritana e il funzionario tutto l’universo. Vi è continuità e crescita progressiva nella rivelazione del suo essere e della sua missione.
Avvicinando una pagina all’altra e prestando attenzione ai richiami verbali (le stesse parole che ricorrono in testi diversi), proviamo ad approfondire il testo, anche se la traduzione italiana non sempre agevola questo lavoro.
In 2,4 Gesù dice “non è ancora la mia ora”; in 4,21.23 “viene l’ora” e in crescendo “viene l’ora ed è questa” e tra “non è l’ora” ed “è l’ora” c’è “la gioia compiuta” di Giovanni il Battista: qui abbiamo già un inizio di quel compimento che sarà pieno alla passione.
Lo stesso vocabolo indica le sei giare a Cana e la brocca della Samaritana, con tutta la suggestione che l’indicazione numerica comporta.
Lo stesso vocabolo indica la stanchezza di Gesù e la fatica del lavoro degli altri (v. 38) e si connota come fatica del seminatore/apostolo.
In 2,9 non si sa “da dove” viene il vino; in 3,8 non si sa da dove viene lo Spirito; in 4,10-11 la Samaritana “non sa” il dono di Dio e “da dove” l’acqua di vita; in 4,22 si dice “voi adorate quello che non sapete”: siamo alle prese con lo stesso verbo “sapere” e lo stesso avverbio “da dove”. Ancora troviamo al cap. 6 “da dove il pane” e poi nei cap. 7-8-9 “da dove il Cristo”, fino alla domanda di Pilato “di dove sei?” (19,9).
In 4,16 Gesù dice “va’ a chiamare tuo marito” ; in 4,50 “Va’, tuo figlio vive”.
Gesù afferma ciò che è accaduto, senza essere presente: è davvero profeta nel senso che il vero profeta dice cose che davvero accadono.
In 3,21 si parla di “opere fatte in Dio”; in 4,34 di “compiere la sua opera” (in 17,4 Gesù dirà “ho terminato ciò che mi avevi dato da fare”).
Si può mettere in risalto ciò che ci interessa anche dando uno sguardo rapido a tutto il vangelo di Giovanni, senza la pretesa di render conto delle varie ipotesi di suddivisione
1,1-18 Prologo
1,19-51 Inaugurazione del ministero di Gesù
2-4 Da Cana a Cana, ma in realtà dal mondo giudaico al mondo intero,
(Gv 4,42): la sezione di cui ci occupiamo.
5-10 Rivelazione del Figlio (Gesù e le feste giudaiche): anche qui vi è una
figura di donna al capitolo 8, la peccatrice, ma sarebbe un discorso
troppo lungo tenerla presente, visto che è una pagina messa in
questione come giovannea.
11-12,11 La grande rivelazione. Dialogo con Marta (preceduto da un richiamo
al Battista e seguito dalla conversione di molti giudei (Gv 12,11)
che esemplifica quel chiaro “la salvezza viene dai Giudei” detto da
Gesù alla Samaritana)
12,12-19,42 Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla sepoltura, compresi i discorsi
finali.
20(21) Il Risorto. Dialogo con Maria Maddalena
Notiamo subito che, a parte prologo e preludio (cap. I), il vangelo di Giovanni inizia con una donna (Cana) e termina con una donna (presso la tomba nel giardino).
Abbiamo sottolineato due nomi di donna al di fuori della sezione in esame e possiamo vedere che corrispondono a due momenti altamente rivelativi del mistero di Gesù che in un certo senso coronano quello con la Samaritana In tutti e tre i testi (cap. 4-11-20) vi è la medesima struttura narrativa dialogica, tipica di Giovanni: rivelazione misteriosa, incomprensione, rivelazione più chiara; vi è un dialogo serrato che ci mostra donne che davvero vogliono “conoscere”, con la densità semantica di questo verbo biblico.
Sia la Samaritana che Marta sono, per così dire, esperte di questioni religiose e dicono “so”, mentre Maria Maddalena dice “non so” (due modalità della fede?), avvicinandosi e riassumendo in sé anche le altre figure femminili del vangelo di Giovanni che non abbiamo ancora citato: la peccatrice che dice solo “nessuno, Signore” e Maria che unge i piedi di Gesù tacendo, in un atteggiamento di gratuità ed essenzialità.
Marta non solo crede all’intercessione di Gesù (corrispondente al pregare in spirito e verità) e alla vita eterna (acqua viva), ma riconosce in Gesù “Il Cristo, il Figlio di Dio, quello che deve venire nel mondo” (11,27): il Cristo che la stessa Samaritana sapeva dover venire è qui riconosciuto anche come Figlio di Dio. Siamo alla professione piena della fede , a cui però solo Maria aggiungerà il calore dell’amore che penetra il mistero di Gesù, anche nel suo prezzo. A lei per prima Gesù apparirà e sarà di nuovo l’essere conosciuta “Maria” che la trasformerà in annunciatrice ai discepoli, come la Samaritana lo era stata per i suoi concittadini, e anche i discepoli, come i samaritani, crederanno poi sulla loro propria esperienza. Anche in Marta c’è il coinvolgere gli altri: anche se manda a chiamare solo la sorella, di fatto coinvolge tutti quelli che erano con lei.
L’annuncio femminile diventa dubbio, stimolo, invito, nonostante il suo non valore di testimonianza ufficiale.
La Samaritana, Marta, Maria Maddalena sono davvero sorelle nello scavo della fede e dell’ annuncio!
RICHIAMI ANTICO-TESTAMENTARI
Prima di scorrere insieme 1’episodio, sostiamo su alcuni riferimenti anticotestamentari che illuminano ancora di più il testo.
I Samaritani
Per i giudei osservanti i samaritani erano (e sono) degli impuri e il rapporto con loro rendeva impuri. Sono infatti quegli Israeliti che alla caduta di Samaria, capitale del Regno del Nord, e alla conseguente deportazione (722 a.c), sono rimasti in patria mescolandosi ai pagani sopraggiunti, contaminando la loro fede con i loro dei (cf. 2Re 17,24ss). Gli esiliati al ritorno non vorranno che i samaritani partecipino alla ricostruzione del Tempio e così tra i due gruppi ci sarà polemica per sempre (cfr. Esd 4,1s; Neemia 4,1s).
All’ epoca di Gesù dare del samaritano a un giudeo era dichiararlo impuro e farne oggetto di disprezzo. Così fanno i giudei verso Gesù (Gv 8,48) e i samaritani stessi non accoglievano chi era diretto a Gerusalemme (Lc 9,53) .
Il loro tempio sul Garizim all’epoca di Gesù non c’era più: era stato distrutto nel 128 a.c. ma il monte restava per loro il luogo sacro per eccellenza (su di esso era stata pronunciata la Benedizione del Signore su Israele, cf. Deut 11,29;27,12 – Gs 8,33).
Delle Scritture i samaritani accoglievano solo la Torah (Pentateuco) e la loro attesa del Messia era conforme a Deut 18,18, un profeta che dice cosa fare, esattamente quanto afferma la Samaritana.
Va però ricordato che la Samaria sarà aperta all’evangelo, come ci ricorda questo episodio e come ci è soprattutto ricordato negli Atti (8,14s), e di questo è testimone proprio Giovanni che va a mietere (più che a seminare) quanto già hanno seminato Gesù, Filippo ed altri. Da qui forse la sua scelta di raccontare 1’episodio della Samaritana.
Sichem (= Sicar)
Va ricordata 1’antichità di questo posto che si trova tra il monte Garizim (Nord) e il monte Ebal (Sud): essa mette in risalto che quanto vi avviene ha come sfondo la storia dei patriarchi. A Sichem aveva sostato Abramo e lì aveva ricevuto la promessa che quella terra sarebbe stata della sua discendenza (Gen 12,7); Giacobbe vi aveva comprato un terreno che poi aveva lasciato a Giuseppe (Gen 48,22) che lì fu sepolto (Gs 24,32), e lì a Sichem, Giacobbe aveva fatto eliminare gli idoli di quanti erano tra i suoi prima che il Signore gli apparisse in a Betel e lo chiamasse “Israele”(Gen 35,2-4).
Sichem è però legata anche alla grande assemblea che sanziona lo stanziamento nella terra promessa e rinnova l’alleanza del Sinai con lo stesso rituale: lì il popolo è chiamato a scegliere definitivamente il Signore con solennità (Giosuè 24; Deut 27) e certe feste ne riattualizzeranno la memoria (Capanne-Pentecoste).
Dopo il tempio anche Sichem fu distrutta (107 a.C.). Probabilmente nei pressi era sorta la Sicar ricordata nel vangelo di Giovanni, mentre più tardi (72 d.C.), accanto sarà costruita un’altra città, Flavia Neapolis (oggi Nablus).
IL POZZO
Un luogo privilegiato per gli antichi è il il pozzo in quanto punto di incontro.
Di fatto nei testi sopra ricordati si parla di una tomba, non c’è cenno a un pozzo, anche se dove si sostava era pur necessario che ci fosse, e, di fatto, questo pozzo c’è tutt’ora in Palestina ed è profondo.
Non possiamo tacere che nello sfondo della storia dei Patriarchi il pozzo richiama le nozze e di per sé tutta la simbologia dell’acqua.
Presso il pozzo il servo di Abramo trovò moglie (Rebecca) per Isacco, proprio chiedendole da bere (Gen 24,11ss); presso un pozzo Giacobbe incontrò Rachele (Gen 29,1ss); presso un pozzo sostò Mosé e lì, lui in fuga, trovò casa e moglie (Zippora, Es 2,15s).
La simbologia dell’ acqua è tema senza fine, è vita, benessere, è benedizione, è sapienza (Sir 15,3); è, soprattutto nei profeti, immagine dei tempi escatologici (basti ricordare qui Ez 47; Zc 14,8 e Apoc 21,23), ma è anche già simbolo della Scrittura stessa (Is 12,3; 55,1), come poi lo sarà nei rabbini e nei Padri (Origene), e questa identificazione era presente anche nella tradizione samaritana .
Già nell’Antico Testamento, acqua viva è la Torah e quindi sarà poi la rivelazione progressiva (cf Ez 36) e lo Spirito che scaturisce dal seno di Gesù.
Il pozzo, per sintetizzare, luogo di incontro e di memorie, vuol ricollegare Gesù a tutta la tradizione e far vedere che la completa, accogliendola e superandola.
Osea (i profeti) e la donna
La relazione Dio-Israele, come amore sponsale vulnerabile, era tipica del profetismo del Nord, dove appunto è profeta Osea, e siamo nella Samaria. Osea aveva sposato una prostituta e la sua vicenda è simbolo dell’esperienza del Signore che “sposa” Israele, pagando direttamente a lei il prezzo in doni, quali giustizia, tenerezza, fedeltà, mentre Israele resta infedele e mai capisce l’amore del Signore, per cui non lo “conosce”: tale tema è in fondo una esortazione alla religione del cuore. La rivelazione di Gesù va oltre, ma include che l’autenticità della relazione non sta nelle istituzioni (il Garizim o il tempio di Gerusalemme): occorre una purificazione a partire dal “fate quello che vi dirà” fino all’adorazione in Spirito e Verità, alla professione di fede di Marta e a quella adorante di Maria Maddalena.
Osea influisce poi sugli altri profeti, e abbiamo pagine splendide in Isaia e in Ezechiele (Ez 16). Non possiamo dimenticare che sia Giovanni il Battista che Gesù e anche Giovanni evangelista li conoscevano: siamo dentro una tradizione, solo così si coglie lo spessore di una pagina.
Alla luce di Osea, anche tutto l’episodio della Samaritana può essere letto in chiave nuziale: la Samaritana o meglio il popolo, l’umanità che essa rappresenta, trova il vero Sposo.
La situazione della donna nel mondo ebraico
La donna compare nei testi biblici nei suoi ruoli di figlia, sposa, madre, vedova o prostituta, ruoli condizionati dalle culture esistenti nell’antico Oriente e anche poi dall’Ellenismo, tutte fortemente restrittive nei riguardi della donna. Tra esse poi quella ebraica non era più benevola, anzi la legge ebraica aveva codificato l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, ponendola chiaramente tra i possessi dell’uomo (Es 20,17; Dt 5,21), già da fidanzata (Dt 22,23), stipulato il contratto di acquisto e fissata la cifra (mohar).
La donna era qualcosa di più di una schiava (Dt 21,14), non poteva essere venduta, ma sì trascurata e ripudiata; era tutt’altro che alla pari con l’uomo a cui era chiesto solo il rispetto della donna come proprietà altrui, non della donna in sé (cf per es la storia di Dina, in Gen 34: neppure la disponibilità al matrimonio riparatore e alla circoncisione sono considerati riparatori per l’onta resa a “nostra” sorella).
La disparità tra maschio e femmina risaliva alla nascita: era ben diverso per la donna partorire un maschio o una femmina: per la femmina l’impurità era doppia (Lev 12,5) e solo il maschio le garantiva alcuni diritti, quali l’eredità se restava vedova. Di fatto la donna era così relegata al privato e sottomessa, che perfino i suoi voti al Signore venivano annullati se non condivisi dal padre o dal marito (Num 30,4s) e per quanto riguardava la religione, sottostava agli obblighi quali la purità, ma non ai precetti positivi, quali quello del pellegrinaggio, della preghiera, dello shemà, e nella sinagoga era presenza periferica e accessoria, non serviva a fare il numero legale per la preghiera. Poteva essere istruita sulla parola a casa dal marito, ma fuori un rabbino non doveva neppure rivolgerle la parola, fosse pure essa sua moglie. Non poteva rendere testimonianza, come gli schiavi e i bambini.
La donna d’altra parte, come in tutte le culture primitive, è vista come portatrice di una forza ambigua per il suo ciclo mestruale, in quanto il sangue è potenza di vita e quindi forza incontrollabile, profanatrice che richiama il caos, l’indistinto, l’istinto, l’inconscio, tutto quanto si oppone a ordine e razionalità, e quindi il ciclo rende la donna impura e pericolosa per l’uomo e il sacro (due forze misteriose non devono sommarsi!). Questo tema non lo sviluppo perché non tocca direttamente il nostro testo, ma è uno dei più significativi per cogliere la libertà di Gesù rispetto alle regole del tempo, ai tabù di ogni epoca, religione e cultura, in quanto è il più diffuso universalmente (cf. Mc 5,25s e paralleli nell’episodio della donna che soffriva di perdite) .
La donna è presentata sempre in funzione dell’uomo (Prov 5,15s; 18,22), ma qui emerge anche il positivo, perché è la donna che fa la felicità o l’infelicità dell’uomo: senza la donna l’uomo è un randagio, nulla è meglio di una buona moglie e feconda, nulla è peggio di una donna stolta, disonesta o sterile; è da essa che passa l’appartenenza al popolo e la trasmissione delle tradizioni, quali l’accoglienza del Sabato e la stessa celebrazione della Pasqua, quando non ci sarà più il tempio, ma soprattutto passa da lei tutta una sapienza del vivere che permette di muoversi in questa vita.
Il comportamento di Gesù, che pare non tener conto degli elementi negativi, è tanto più nuovo in quanto nel giudaismo rabbinico vi era stata, per influsso ellenistico, una radicalizzazione della misogenia fino alla preghiera “ti ringrazio Signore perché non mi hai fatto donna” e al considerare blasfemo insegnare la Torah alla donna.
Nella tradizione cattolica si è tenuto molto conto di questa tradizione misogena e della “impurità” soprattutto nel Medioevo, a cui si associa una visione antropologica che vede nella donna un maschio mal riuscito (non si sapeva bene cosa avveniva nel concepimento), risalente più alla filosofia greca che al rabbinismo. Questo, in realtà, accanto a testi negativi, proprio come la corrente sapienziale biblica, nella sua concretezza, tramanda anche testi bellissimi.
IL TESTO DI GIOVANNI 4,1-42
Il brano è soprattutto cristologico. Il tema principale è la rivelazione progressiva di Gesù, ma abbiamo visto che in Giovanni, a questo· scopo, le donne sono interlocutrici quasi preferite, e quindi faremo attenzione a questo.
Lo schema:
1-6 Lo sfondo dell’incontro: 1-3 Gesù lascia la Giudea
4-6 La scena
7- 15 La donna scopre la propria sete e fatica di vivere, non sa cosa
sia l’ acqua viva. Gesù si rivela un giudeo dalla pretesa di essere
più grande di Giacobbe
16-19 La donna fa verità sulla sua vita; Gesù si rivela profeta.
20-26 La donna interroga su dove adorare; Gesù rivela come la vera
adorazione sia in Spirito e verità e si indica come il Messia
27-30 Cambia la scena: i discepoli dalla città arrivano presso Gesù,
la Samaritana lascia Gesù e va in città.
31-34 I discepoli non sanno quale sia il cibo di Gesù;
Gesù si rivela l’inviato
35-38 Gesù inviato e inviante (semina e mietitura)
39-42 Conclusione: conversione dei samaritani;
Gesù Salvatore del mondo.
La Samaritana è donna vivace, attenta alla vita nella sua concretezza e alle sue piccole novità quotidiane. Si reca al pozzo ad un’ora inconsueta, a mezzogiorno, l’ora più calda; in Giovanni quest’ora (come anche la sete di Gesù) ricompare solo quando Pilato mostra Gesù ai giudei: “Ecco il vostro Re” (Gv 19,14). È uno dei tanti elementi che rafforza l’idea di una costruzione simbolica dell’avvenimento del nostro testo. Tale circostanza infatti favorisce un incontro senza altre presenze, un incontro di cui la donna afferra subito la stranezza, ma non tiene l’interrogativo dentro di sé, e subito dialoga con lo sconosciuto giudeo lì presente e cerca di capirne il comportamento.
Stenta, è vero, ad andare oltre il piano naturale delle cose, ma non può essere che così: l’essere umano coglie la visita di Dio nello straordinario, ma nel quotidiano fa sempre difficoltà. La risposta di Gesù poi è senz’ altro emblematica, oscura, e la donna afferra solo qualcosa di misterioso e perciò attraente.
Gesù le ha ispirato fiducia, si è presentato bisognoso e non prepotente, non sembra volerla possedere neppure con lo sguardo: chissà può forse davvero offrile un sollievo nelle fatiche della vita.
-, L’ acqua è preziosa nei paesi come la Palestina ed è simbolo di ogni benessere, di ciò che più conta, e quindi nel linguaggio religioso era l’immagine che richiamava la Torah (Amos 8,11; Sl 42,2s; Is 49,1s), come abbiamo già detto.
“Da dove”, chiede la Samaritana, ed è domanda che percorre il vangelo di Giovanni e già da sola fa percepire la portata di questa pagina: la risposta verrà infatti alla fine: “dal costato trafitto uscirono sangue ed acqua” (Gv 19,34). Poi la donna, senza rendersene conto, afferma una verità: Gesù è più grande di Giacobbe. ‘Altrove, lo sappiamo, si dice più grande di Abramo (8,52s), di Mosé (1,45; 5,46 e 6,ls), ed è per questo che l’acqua che lui dà è ben più di un benessere passeggero, è la nuova rivelazione, è lo Spirito che genera una vita nuova che dura per sempre (la portata simbolica del vangelo di Giovanni, ormai gli esegeti convengono, non costringe a limitare il significato dell’acqua ad uno dei due: la rivelazione o lo Spirito).
Siamo nella dimensione del dono totale gratuito. Tutto ciò che non si sa da dove viene è un dono. La Samaritana nella sua vita ha però un peso ben più grande che il dover attingere l’acqua al pozzo, e Gesù l’aiuta a tirarlo fuori (già sappiamo da Giovanni 2,25 che Gesù “sapeva quello che c’è in ogni uomo”). Il peso vero della sua vita è la sua situazione relazionale confusa (al massimo erano permessi tre matrimoni…) .
Per affrontare le cose profonde, occorre avere il cuore libero da menzogne e questa donna dimostra di saper fare subito verità, per questo non penso che poi cerchi di cambiar discorso, come dicono la maggioranza degli esegeti : è proprio l’immediatezza con cui dice il vero e lo sente (conosciuto da Gesù che la fa passare ad un rapporto diverso con Gesù, ora riconosciuto profeta. Allora tira fuori l’interrogativo religioso fondamentale per lei e il suo popolo, quello che dà il senso del credere. La rivelazione oggettiva deve passare attraverso quella soggettiva che è verità vitale non astratta (quello che è Gesù passa attraverso quello che lui le ha detto su di lei, questa è la sapienza pedagogica di Dio!).
Gesù non solo chiarisce la modalità dell’ adorazione del Padre (non dice Dio, bensì “Padre”), e siamo esattamente a metà dei versetti dell’ episodio, cioè al centro del brano, rimandando dai luoghi a quell’ espressione densissima che è “in Spirito e verità”, ma anche aggiunge che il Padre “cerca” tali adoratori.
Vi è senz’ altro l’eco degli antichi passi profetici contro il prevalere dei sacrifici sul vero culto, ma siamo nel pieno del mistero trinitario: non si tratta più dell’interiorità dell’uomo, ma dello Spirito che fa la verità e nella verità si fa spazio per lo Spirito, e ‘la verità qui non è solo quella che l’uomo può fare in se stesso, è Gesù stesso e la sua rivelazione. Dio Padre manda Gesù a “cercare” gli uomini per salvarli.
Sintetizza X. Léon-Dufour: “L’adorazione non è autentica se non è prodotta dallo Spirito che comunica la Verità del Cristo”.
Il verbo cercare poi è usatissimo da Giovanni, ma per lo più si cerca Gesù a tentoni senza capire bene chi sia, o lo si cerca per ucciderlo; oppure il verbo è usato per Gesù che cerca la volontà di chi lo ha inviato: solo qui ha per soggetto il Padre (citato di fatto tre volte nei vv. 21-23, due però al complemento indiretto, in quanto a lui è rivolta l’adorazione).
\
Possiamo dire che il Padre non cerca più adoratori sul Garizim o a Gerusalemme , ma presso un pozzo, nel quotidiano, dove egli vuole incontrare tutta l’umanità e farla sua sposa, come \ di fatto sta avvenendo con Gesù che cerca la Samaritana. Il Padre cerca-tali adoratori attraverso il Figlio, stanco per il viaggio, e il suo viaggio è la carne assunta per noi” (Agostino), il suo essere disceso fino in fondo alla situazione umana.
Con questo cenno non voglio negare la “persona” della Samaritana, ma già nell’Antico Testamento la donna a volte è la personificazione di un popolo o almeno l’espressione delle sue esigenze più profonde ( cf Giuditta, Ester …) o dei suoi peccati (l’adultera): è una dimensione interessantissima questa- nella storia della salvezza, che ci porterebbe a ripercorrerla tutta . Notiamo solo che così si ha l’accostamento tra quotidianità e universalità, da cui nasce la profondità esistenziale di ‘ogni vissuto. Nelle figure femminili si incontrano Gesù e l’umanità al di là dei ruoli.
La Samaritana, ormai conquistata dalla persona di Gesù, che proprio a lei si è rivelato come il Messia atteso, lascia la brocca (la sua realtà, il suo quotidiano fattosi irrilevante, secondario) e si fa apostola, “dice alla gente”.
Sono intanto arrivati presso Gesù i discepoli e va notata la loro meraviglia, espressa con un verbo che rende la situazione interiore di chi viene a trovarsi di fronte a qualcosa di impensabile (è lo stesso verbo che Gesù usa per dire a Nicodemo: “Non stupirti se ti ho detto bisogna rinascere dall’alto” e sempre questo senso ha in 5,20.28; 7,15.21; 9,30) e si dice che Gesù parlava con una donna, non con una samaritana. I discepoli non si meravigliano tanto che fosse samaritana, quanto che fosse “una donna”.
Loro sono andati in città, ma non hanno predicato, si sono riforniti solo di viveri; questa donna invece si fa annuncio, “testimoniando” tra i suoi, mentre loro la sostituiscono presso Gesù, ma capiscono ancora meno di lei ciò che Gesù dice, nel tentativo di introdurli nel segreto della sua esistenza e prepararli ad accogliere quello che sta per avvenire: la conversione dei samaritani.
Va notato che di questi prima si dice che credettero per le parole della donna (v. 39), poi per le parole di lui (Gesù v. 41) – dal segno dato da un altro all’ ascolto personale – e quindi loro stessi lo comunicano alla donna (circolarità dell’esperienza di fede), facendo un passo avanti nel riconoscimento di Gesù, qui detto con un termine pagano-ellenistico “Salvatore del mondo”(v.42): siamo al di là di ogni frontiera, nella dimensione universale della salvezza.
Poco prima Gesù aveva usato l’immagine della messe che nella tradizione rimandava al raduno di tutti gli uomini alla fine dei tempi, ma la fine in Giovanni riguarda già il presente: Gesù è seminatore e mietitore insieme, anche se altri (e tra questi l’evangelista Giovanni) continueranno la raccolta (cioè la conversione dei samaritani).
Il venir meno della frattura tra giudei e samaritani, tra uomo e donna in questo episodio di Gesù e la Samaritana, è anticipazione di quell’umanità nuova in armonia che sarà il Regno. Di fatto l’invito dei samaritani perché Gesù resti, è ancora secondo lo schema degli incontri al pozzo a sfondo nuziale (invito del padre della sposa allo sposo a restare) e potremmo quindi ritornare all’interpretazione simbolica.
PERCHE’ PROPRIO LA SAMARITANA?
Ci viene da dire che Giovanni attinge alla sua esperienza in Samaria per scegliere quanto narrarci, e che la scelta della “donna” samaritana era pienamente confacente al suo presentarci un Gesù che sovverte le usanze del suo tempo, per indicare che qualcosa di nuovo sta irrompendo: è perfettamente in linea con la purificazione scandalosa del tempio che precede (cap 2) e con la violazione del Sabato che segue al cap. 5.
Anche un samaritano bastava, visto che già Luca si riferisce ai samaritani quali protagonisti dei veri atteggiamenti del nuovo credente, come nel buon samaritano, e nell’unico dei dieci lebbrosi che torna a ringraziare.
Perché allora “una donna”?
La Samaritana infatti non ha un nome proprio, ma in Giovanni è termine preferito ai nomi propri, anche la madre e Maria di Magdala vengono chiamate così.
Vi è nella figura della Samaritana una duplice carica di rottura, in quanto donna e in quanto samaritana: vi è, in questa scelta, non solo dell’insolito, il non usuale, ma anche un andar oltre distinzioni, barriere, pregiudizi e presunte impurità: vi è un voler includere davvero tutti.
Gesù dialoga con la Samaritana e si rivela, rendendola partecipe del suo mistero e discepola, almeno quanto i suoi stessi discepoli che come lei ascoltano, ma mai capiscono fino in fondo.
Gesù (è Giovanni che ce lo narra) attesta così che la sua rivelazione è per tutti coloro che cercano il senso del loro vissuto, e le donne non sono certo da meno in questo, anzi…
Credo però che si possa dire che in Giovanni le donne sono interlocutrici privilegiate: è come se facilitassero a Gesù il rivelarsi. Questo, lungi dal suscitare fantasie novellistiche, ci suggerisce che in esse Gesù coglieva profondamente l’umanità che è venuto a salvare. E’ come se, con le donne, trovasse modo di dimostrare meglio il suo assumere tutta l’umanità, non solo in dimensione numerica, ma in senso- di globalità della persona, di autenticità, di normalità, di abisso profondo.
L’uomo in quel tipo di società (oggi questo lo può far bene anche la donna) poteva nascondere la propria fragilità dietro i ruoli che aveva e vantarsi di esemplarità, la donna no (madre, prostituta, impura… tutte cose che non restano nascoste!), era una povera!
Riconoscere una carica simbolica a figure come la Samaritana, quale rappresentare il suo popolo / i pagani / l’umanità, non è ridurne la persona, anzi è un riscoprire che noi tutti dovremmo saper vivere così profondamente da portare dentro) questa dimensione universale, ben sapendo che la sessualità, j l’essere uomo o donna, è realtà seconda nel messaggio evangelico, la realtà primaria è il discepolato, la sequela, la testimonianza, la santità.
Certo il vangelo non va disincarnato, per cui diverse saranno le modalità del viverlo nell’uomo e nella donna, ma questa diversità non va ridotta a ruoli che sono esclusivamente una dimensione sociale. Il Signore è semplice, trasparente e profondo nella sue relazioni con gli uomini e con le donne, perché anticipa il superamento delle disarmonie dovute ai limiti creaturali e al peccato; per lui conta solo il nuovo tipo di relazione secondo la logica del Regno .
La Samaritana poi è anche “apostola”, testimone – anche se nel contesto ebraico la testimonianza della donna non valeva! – e tale può esserlo solo chi ha vissuto, anche se brevemente, con Gesù un’ esperienza profonda che si è fatta conoscenza viva, coinvolgente (non cerebrale), piena di fiducia . La Samaritana lascia la brocca come i discepoli hanno lasciato le reti: si lascia quando si è trovato qualcosa che conta di più e questo qualcosa, che la Samaritana ne sia consapevole o meno, è che Dio è davvero Padre e ama gli uomini fino a farsi trovare ovunque, ad accostarsi ad essi comunque, a scavare nel loro cuore la nostalgia di lui. Alla Samaritana è nascosto, per così dire, il prezzo di questo amore, ma i peccatori già lo capivano dall’ accoglienza che ricevevvano, forse erano i giusti ad aver bisogno della croce per capire.
La Samaritana è la prima seminatrice nel vangelo di Giovanni; lei si lascia raggiungere là dove è nuda ed è per questo che può annunciare, senza autorità ma con sentimento e forza . Non va infatti a dire: “guardate che non è più necessario salire sul Garizim” (verità dottrinale), ma “mi ha detto tutto quello che ho fatto” (verità esistenziale): la donna, vuoi per natura, vuoi per storia, vuoi per simbolo, lascia che l’altro entri nella sua esistenza. Per questo il Signore la prende come modello del credente, del discepolo, dell’apostolo.
Bibliografia essenziale ma ormai datata ai tempi dello scritto (anni 90), molto, forse troppo, si potrebbe aggiungere perciò lasciamo lo scritto legato alle fonti del suo tempo.
Commenti al Vangelo di Giovanni
dei padri Cirillo di Alessandria e Agostino –
di esegeti contemporanei quali :
– R.E. Brown (Cittadella)
– Segalla (Paoline)
– Buzzetti (Ut unum sint)
– X. Léon-Dufour (Paoline)
– Zevini (PSV n. 27 e altri)
E inoltre:
I. De la Potterie, Studi di cristologia giovannea, Queriniana
E.S. Fiorenza, In nome di lei, Claudiana
Lilia Sebastiani, Donne nei Vangeli, Paoline (della stessa, Tra/Sfigurazione)
C. Ricci, Maria di Magdala e le molte altre, M. D’Auria ed.
Walter-Bartolomei, Donne alla scoperta della Bibbia, Queriniana
Moltmann-Wendel, Le donne che Gesù incontrò. Queriniana.