IL CUORE DI GESÙ SIGNORE: LA NOSTRA “ARCA DI NOE’ “
L’immagine dell’arca per il cuore di Gesù non è mia, è di un certosino che scrive: “Gesù volle far aprire il suo cuore e lasciarlo sempre aperto, affinché noi tutti potessimo, attraverso questa larga porta, arrivare al suo cuore, per trovarvi un sicuro rifugio nei pericoli e nelle tentazioni. Similmente tutti coloro che dovevano sfuggire al diluvio, trovarono la loro salvezza, entrando nell’arca, attraverso l’apertura che Noè fece su uno dei lati dell’arca.” (A.de Molina, in Un itinerario di contemplazione –antologia di autori certosini, Paoline 87, p.27.) L’immagine rende, secondo me, molto chiaramente quello che ha animato la devozione al Sacro Cuore di fr. Charles e direi non tanto nel suo aspetto soggettivo di un rifugio di salvezza per sé, ma nel suo aspetto oggettivo di luogo di salvezza per tutti. Fr. Charles vede infatti la ferita del costato di Gesù come «segno che il suo cuore è sempre aperto a tutti i viventi, è sempre pronto ad accoglierli, a perdonarli, ad amarli… fin all’ultimo momento». ( cf Charles de Foucauld, Opere spirituali, Paoline 74, p.786)
Al di là degli aspetti devozionali e di certe rappresentazioni non sempre secondo la nostra sensibilità, c’è nella devozione autentica al Sacro Cuore un elemento fondamentale, quello di educare a volgere lo sguardo al Signore Gesù, distogliendolo dallo stare troppo a guardare noi stessi.
Più volte fr. Charles scrive: «Fare ciò che è più gradito al cuore di Gesù»: vi è qui un dimenticarsi per entrare nei desideri del Beneamato, come deve succedere in ogni vero amore.
Troviamo questa espressione nel suo ritiro per l’ordinazione sacerdotale, nel quale già pensa alla missione, per la quale esclude la Terra Santa perché vi sono già abbastanza operai e invece volge la sua attenzione al Marocco e alle regioni limitrofe dove quasi non c’è la presenza di sacerdoti o religiosi, e aggiunge «una sola anima ha più valore dell’intera Terra Santa» (op. cit. p. 540.); i suoi gusti spirituali (vivere a Nazareth) non contano più, conta quello che sta a cuore a Gesù, il suo amore per gli uomini fino al sacrificio.
E meditando il versetto di Luca, «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,59), coglie che il desiderio di Gesù è che gli rendiamo amore per amore e scrive «Amiamo, amiamo, tutta la nostra occupazione sta nell’amare, nel contemplare il Beneamato, nel chiedergli che cosa vuole da noi: nel pensare, nel dire, nel fare quel che vuole che pensiamo, diciamo, facciamo…Abbiamo una grande devozione per questo Sacro Cuore di Gesù col quale Dio ha acceso il fuoco sulla terra! Jesus Caritas….»(. op. cit. p.785).
Si chiede in seguito: «Porto abbastanza tutti gli uomini nel mio cuore, come il Sacro Cuore?» (op. cit. p.564)
È un interrogativo carico di profondità che mette in discussione la nostra vita spirituale!
Non si tratta di tenerezza sensibile, ma anzi di svuotare il cuore da ogni legame e interesse per far spazio ai soli sentimenti di Cristo. Non va dimenticato però che la devozione al Sacro Cuore è la spiritualità di un’epoca, in cui non sono mancate espressioni troppo intimiste ed elitarie e che fr. Charles ha vissuto nell’ambiente monastico, anzi la trappa di Akbes era proprio dedicata a Nostra Signora del Sacro Cuore.
Non è strano perciò che gli faccia eco un certosino:
«Amare il cuore di Gesù vuol dire dimenticare noi stessi e le nostre miserie per ricordarci solo di Lui che è la risurrezione e la vita, vuoi dire gettare in quel cuore adorabile ogni ansiosa sollecitudine di progresso spirituale. Amare il cuore di Gesù significa favorire ed aiutare con la santità e la sincerità che vengono da Dio (2 Cor 1,12) chiunque fatica per la sua gloria, rinunziando senza rammarico, per il bene comune, a pretesi diritti di precedenza o a brevetti di invenzione, coprendo col manto della carità debolezze e miserie, dimenticando nel silenzio e nel perdono parole amare e gesti poco cortesi, evitando con cura puntigli d’onore, meschine gelosie e rivalità, che compromettono tanto spesso la dignità e la riuscita del ministero. Amarlo vuoi dire compiere con fede e con sollecitudine il nostro dovere oscuro, nell’uniformità di una esistenza monotona e nascosta, senza pretendere approvazioni, senza denigrare chi emerge, senza intralciare, con mal celata invidia, le iniziative altrui, senza esultare per il loro insuccesso, senza calpestare chi è caduto, senza negare il merito o calunniare le intenzioni, in una parola senza impedire o condannare il bene, per il solo fatto che non porta la nostra marca di fabbrica: Purché in ogni maniera…. Cristo venga annunziato (Fil 1,18). Essere devoti del cuore di Gesù significa bruciare dal desiderio di farlo conoscere e di farlo amare, di estendere il suo regno, di glorificare il suo nome, di compiere la sua volontà sotto qualunque aspetto ci si manifesti; significa amare gli uomini che costano il suo sangue: amarli tutti, amarli sempre, con purezza e sincerità, nella continua immolazione, immolazione perpetua totale dei nostri gusti, dei nostri ideali, del nostro benessere» (G.B.Simoni, in Un itinerario di contemplazione, p.276-278).
Quando l’incontro con il Signore non è accompagnato da questo desiderio che tutti siano salvi, che tutti siano raggiunti dalla misericordia del Padre e lo possano amare, c’è qualcosa che non funziona, si sta costruendo un edificio spirituale sulla sabbia. Non si dà autentica esperienza di Dio se non si coglie che il suo amore per noi è, proprio per questo, anche amore per ogni altra creatura al mondo, proprio per questo, perché il Signore non ci ama per dei meriti o dei pregi, ma del tutto gratuitamente, proprio là e quando emerge il nostro nulla: il Signore ci raggiunge nel suo amore là dove è la nostra debolezza è più radicale e incancrenita, «Dio mostra suo amore “folle” verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori. Cristo è morto per noi» (Rom 5,8).
Se poi ci soffermiamo sul Vangelo di Giovanni, «Venuti da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua…. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: “Non gli sarà spezzato alcun osso”. E un altro passo della Scrittura dice ancora: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”». (Gv 19,33.34.36), possiamo cogliere che la prima citazione «non gli sarà spezzato alcun osso» identifica Gesù con l’agnello pasquale per il quale era data simile istruzione (cf Es 12,46), mentre la seconda «volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» illumina il gesto del soldato che «aprì il costato» di Gesù (traduzione della vulgata; il verbo greco della LXX ha solo il senso di trafiggere e non di percuotere) facendone cogliere pienamente la volontà di salvezza per tutti intessuta nel proprio sacrificio (sangue) e nello Spirito (acqua) e in tutti i doni che ne scaturiscono.
Non va dimenticato che «cuore» nel linguaggio biblico indica là dove la persona si gioca, le intenzioni i desideri, le decisioni e se, forse in certi momenti storici, si è preso il Sacro Cuore solo come umanità di Cristo, quasi che ce la rendesse sensibile anche a noi, resta fondamentale che cogliamo in profondità il senso di tutta la vita della persona di Gesù e il discepolo amato che reclinava il capo sul suo petto era proprio colui che più ne conosceva le intenzioni, le decisioni, ciò che lo muoveva alla adesione al Padre. I santi, quando parlano della loro esperienza spirituale e usano l’immagine dello scambio dei cuori tra loro e Gesù, intendevano proprio questo far proprie le intenzioni profonde per le quali Dio si era fatto uomo, nel totale abbandono a lui delle proprie energie vitali, dei propri desideri, in un lasciarsi fare da lui per divenire anche loro «arche di salvezza». Occorre scoprire che non sono le tante o poche cose che possiamo, e dobbiamo, fare noi per far incontrare gli uomini con Cristo, nostra salvezza, ad essere importanti, quanto il divenire noi testimonianza vivente dell’amore di Dio per gli uomini, della sua pazienza misericordiosa: se Dio non mi avesse amato non sarei quello che sono… quello che vi è in me di positivo è suo… questo è aver capito il cuore di Gesù. Oggi nella società domina il «si salvi chi può» e possiamo rischiare di trasferirlo nella nostra vita spirituale, se non chiediamo al Signore un cuore, come il suo, aperto al mondo. Se non ci è possibile dare a tutti quello che abbiamo, ci abiti almeno il desiderio che tutti lo possano avere; non ci sia in noi possibilità di allegrezza piena che in questa prospettiva e nella supplica costante per ogni cosa (nutrimento, casa, lavoro, amicizia, sostegno spirituale….) qui sulla terra e per la vita eterna nell’arca di salvezza dei cieli, che tutti ci conterrà.
Solo se davvero questo desiderio di riscatto del mondo occupa le profondità del nostro cuore, grazia e consolazione ci accompagneranno nello scorrere della nostra vita, come dice Zaccaria, proprio introducendo il versetto citato da Giovanni, «Riverserò sopra la casa di David e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito….In quel giorno vi sarà per la casa di David e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità. In quel giorno io estirperò dal paese i nomi degli idoli…» (Zc 12,10;13,1.2a). Il Signore Gesù ha esteso questo a tutti gli uomini, legando per sempre «grazia e consolazione» a sé crocifisso. È il mistero del suo cuore che, proprio mentre ci rende partecipi della sua sofferenza perché gli uomini non lo accolgono, ci dona grazia e consolazione, per restargli fedeli e «gridare» ancora che Dio non si stanca, è fedele, al di là di tutto ama gli uomini, sue creature, nulla andrà perduto, tutto sarà trasfigurato.
“Dammi, o Signore, un cuore pienamente conforme ai tuoi sentimenti, un cuore così umile, che conosca ed ami il suo nulla, un cuore così paziente che sappia essere padrone di sé e calmare le sue inquietudini, un cuore caritatevole che compatisca le miserie altrui e sia pronto a sollevarle, un cuore puro, distaccato, un cuore acceso d’amore per il suo Dio, il quale formi in questa terra la sua occupazione, la sua felicità, il suo unico tesoro… O Gesù, mite e umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo!”( G.M.Fulconis, in Un itinerario di contemplazione, p.275-276).
Così pregava un certosino, così avrà pregato tante volte fr. Charles.
Giuliana Babini Jesus Caritas 1996